Jobs Act e Cittadinanza, niente tatticismi: opposizioni in campo
La Consulta ha detto no, quindi avanti tutta. Non è il tempo per fermarsi, reclamare, gettare la spugna: tutto il contrario. La scorsa settimana, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito referendario contro la legge sull’autonomia differenziata, ritenendo che di fatto chiedesse ai cittadini di esprimersi non su una norma, bensì su un principio ormai inserito in Costituzione. Parallelamente, i magistrati davano invece il via libera ad altri cinque referendum: quattro a tema lavoro, promossi dalla Cgil, con in cima quello cruciale contro lo sciaguratissimo, fin dal nome, Jobs Act; e uno per cambiare la legge sulla cittadinanza, per cui si sono mobilitati comitati ampissimi in rappresentanza di molte componenti della società, segno che il tema non è astratto ma al contrario investe in pieno il sentire e i problemi del Paese.
Ne discenda una primissima, banale, osservazione: tocca alle opposizioni allearsi con chi ha promosso i quesiti e spingere il carretto della partecipazione, mantenendo vivo lo spirito di cambiamento e di giustizia sociale che ha animato la raccolta firme. Non sono ammessi tatticismi per non risultare sconfitti, né – parlando di Jobs Act – per evitare dilaniamenti interni, considerato che furono proprio i democratici a guida Renzi a varare la riforma. Il messaggio deve essere chiaro: la cittadinanza vi guarderà. E lo farà anche e soprattutto rispetto all’Autonomia: la Corte ha infatti detto no al referendum, ma ha anche precedentemente smantellato l’impianto strutturalmente distorto della legge, indicando una serie di cruciali correttivi da prendere per portarne avanti la discussione. C’è, in questa indicazione, una grandissima opportunità per le opposizioni: rendere questi correttivi obiettivi concreti su cui dare battaglia. Significa, ed è necessario che sia chiaro da subito, non restare seduti ad aspettare che la maggioranza finga di metterci mano, bensì rendere le modifiche terreno di vera lotta politica, con il coinvolgimento della società civile, dell’associazionismo, dell’accademia e degli intellettuali.
I nodi identificati dalla Consulta, d’altronde, riguardano in pieno i diritti della cittadinanza, sono la ragione per cui la discussione intorno alla sanità, alla scuola e all’ambiente – in sostanza, a disuguaglianze intollerabili e già profondissime – si è animata e accesa, trascinando centinaia di migliaia di persone in piazza e a firmare contro la legge. Tre sono i punti cruciali nella sentenza, cioè gli obiettivi da perseguire, a partire dalla creazione del Fondo perequativo nazionale, già previsto dall’articolo 119 della Costituzione e rimasto lettera morta. Sarebbe una misura straordinaria di giustizia sociale, visto che la stessa Carta prevede che sia finanziato e utilizzato “per i territori con minore capacità fiscale per abitante”. L’esatto opposto dell’autonomia che premia i ricchi e affossa gli altri. C’è poi il ruolo cruciale del Parlamento (non del governo!) nello stabilire le funzioni per le quali fissare i Livelli essenziali di prestazione (Lep) e infine la determinazione dei fabbisogni finanziari necessari per raggiungerli.
Il messaggio è semplice: tutti hanno diritto agli stessi servizi e di ugual qualità, perché così dice la Costituzione, e non tutto può essere devoluto, anzi. Rilievi che da soli distruggono nei fatti il concetto di autonomia differenziata come lo vorrebbe il governo: una fotografia dello status quo, e chi se ne importa dell’uguaglianza. Per l’opposizione l’occasione è ghiotta: dare battaglia per questi obiettivi significa lottare per il popolo e per i suoi diritti. Ma bisogna farlo subito, davvero.
Per il Forum Disuguaglianze e Diversità