Neutralità climatica: l’Italia non sa ancora dare risposte

Di Sottosopra
13 Luglio 2023

Piove, governo laico. E anche realista, non velleitario, pragmatico. Così pragmatico da risparmiare tempo e sforzi e ripiegare sul copia e incolla: vedi alla voce “Dimensione del mercato interno” del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), il documento programmatico con cui l’Italia, e ogni altra nazione europea, è chiamata a spiegare come intende realizzare l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Sulla carta è un’occasione d’oro per spingere le imprese migliori del Paese, assegnare missioni strategiche ai colossi di Stato e convogliare la crescita mentre si assicura la transizione. Ma se non ne avete sentito parlare non stupitevi: il testo non è passato per il consiglio dei Ministri né tantomeno per il parlamento (e quando mai). Del resto, non ne esiste ancora una versione estesa ufficiale – la scadenza per l’invio era il 30 giugno – e la sintesi spedita a Bruxelles, in attesa di completamento, enuncia principi generici più che declinazioni pratiche: tutto in nome del famigerato rifiuto dell’ideologismo ambientale. Che è poi soprattutto rigetto di quello che la transizione dovrebbe portare con sé: giustizia sociale, coinvolgimento della cittadinanza nei processi decisionali, lotta alle disuguaglianze e riduzione della dipendenza dalle grandi compagnie del fossile. Piuttosto il nuovo Pniec, che aggiorna quello consegnato nel 2020 copia-incollando dal vecchio documento proprio le righe che riguardano il fenomeno della “povertà energetica”, a riprova di quanto poco gli ultimi interessino davvero, si concentra sul ridimensionare alcuni obiettivi, ratificando una sconfinata fede nel gas: la trappola per cambiare tutto senza cambiare davvero niente. Il piano fissa per il 2030 un target complessivo per le rinnovabili pari al 40,5% del consumo totale di energia, inferiore al 42,5% indicato dal RepowerEU; ritocca minimamente al rialzo gli obiettivi per i veicoli elettrici – da 6 milioni a 6,6 nel 2030 – e menziona come possibili soluzioni per cambiare i sistemi di mobilità lo smartworking e la settimana corta, come se non fossero idee che richiedono cambiamenti culturali, sociali e produttivi profondissimi. Soprattutto, però, in nome della “neutralità tecnologica”, il testo punta sulla cattura e sullo stoccaggio dell’anidride carbonica: una trovata glamour per rallentare le rinnovabili, garantire lunga vita alle fonti fossili e aprire la strada all’idrogeno blu, prodotto con idrocarburi, al posto di quello verde, ottenuto con le rinnovabili. In parole povere, per garantire ai colossi energetici di preservare la propria egemonia con nuove tecnologie, al posto di proporre una reale trasformazione: c’è chi ricorderà che il progetto di Eni per la cattura di CO2 al largo di Ravenna è già stato bocciato dalla Commissione, che lo ha escluso dai quelli meritevoli per il Fondo europeo per l’Innovazione. Memorabile flop da emendare. La laicità sbandierata dal governo Meloni d’altronde implica non formalizzarsi troppo sui dettagli, salvo quelli fantasmagorici del reticolato di tubi che – questo è certo – dovrà rendere l’Italia l’hub energetico del Mediterraneo, perché Putin è un fornitore inaccettabile, ma siamo risolutamente a caccia di nuovi amici con cui stringere alleanze non troppo diverse. E se le contraddizioni sono l’anima di una maggioranza che dice di pensare ai deboli ma si preoccupa invece di garantire i potenti, nel Pniec ne emerge una che vale la pena sottolineare. L’esecutivo dichiara infatti che i risultati ottenuti dai bonus edilizi per l’efficientamento energetico “sono stati notevoli” e che bisogna aumentare il ritmo delle riqualificazioni: peccato che abbia prima condotto una guerra feroce al Superbonus, fino a cancellarlo. Rallentando la transizione, e l’economia. Recentemente è spuntata una proposta di legge per riproporlo – cambiato – in legge di bilancio: ovviamente in nome del pragmatismo, specie quando si sposa con la propaganda.

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