L’Intervento

Questione minorile: così lo Stato tradisce se stesso

Procuratore nazionale antimafia - "L’allarme è la dissolvenza delle basi della nostra Repubblica"

Di Giovanni Melillo
22 Gennaio 2023
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A Napoli, la questione minorile è esacerbata, incredibilmente aggravata, da una speciale condizione di frammentazione del tessuto sociale e di debolezza delle politiche pubbliche di inclusione e integrazione sociale. Una condizione per larghi versi comune a quelle di Palermo o Catania e alle conurbazioni urbane che le circondano, ma che presenta ancor più drammatici profili. La questione minorile a Napoli si staglia come indicatore di ben altro: una sorta di effetto di dissolvenza delle promesse costituzionali di eguaglianza e progresso fondative della nostra Repubblica. Il lento inscheletrimento di parte significativa delle potestà pubbliche diverse da quelle su cui si fa sovente leva per eccitare sentimenti e bisogni securitari – magistratura e forze di polizia – è alla base anche della diffusione della mortifera idea che esista una governance illegale sostitutiva di quella che dovrebbe spettare alla pubblica amministrazione nei campi più diversi: dalle politiche del lavoro al decoro urbano, dalla gestione del patrimonio edilizio pubblico ai servizi sanitari. In particolare, l’impressionante povertà educativa che segna lo sviluppo dei giovani, l’elevatissimo tasso di dispersione scolastica e la siderale lontananza dei più dalla consapevolezza dei doveri di cittadinanza, non possono ridursi a mero e inevitabile riflesso di disagio familiare e sociale, poiché è anche il prezzo dell’indebolimento dell’idea stessa che compete alla Repubblica: assicurare l’educazione dei giovani e garantire e promuovere lo sviluppo della loro personalità. È un processo di dissolvenza, quasi cinematografico, su cui tutti dovremmo interrogarci. Siamo abituati a pensare che democrazia e libertà siano beni inconsumabili, ma, se privati del nutrimento dato da educazione, consapevolezza, solidarietà, capacità di ascolto e partecipazione, rischiamo di perderli. Tutto ciò sta già avvenendo e, davvero, credo che la questione minorile, come quella criminale nel suo complesso, siano allarmi potenti, ma inascoltati, di un rischio democratico.

È antica la distinzione fra educazione e istruzione. La prima coincide con la conoscenza dei doveri. La seconda è condizione di esercizio dei diritti. Tocca alla Repubblica assicurare tali beni. E ripartirli in parti uguali. Ma la realtà rivela come al progressivo arretramento dello Stato nella garanzia dell’istruzione primaria e secondaria corrisponda l’esaltazione del peso delle differenze socio-territoriali, della qualità dei poteri locali, delle infrastrutture e dei livelli di spesa sociale qualificata. E su tutto ciò, nell’area metropolitana di Napoli come forse in nessun altro luogo, agisce come cappa asfissiante la pressione criminale. Non parliamo di luoghi sperduti ma di aree urbane di grandi dimensioni, di realtà dove il voto di un cittadino vale poche decine di euro, dove esistono comuni sciolti più volte per mafia. In un caso, persino 4 volte in trent’anni. Non sono queste autentiche condizioni di sofferenza della democrazia? Non si intravede la trasformazione dei caratteri della questione mafiosa? Naturalmente esiste e a Napoli è particolarmente visibile, una dimensione criminale oppressiva del vivere civile, ma le mafie sono ormai innanzitutto forza di trasformazione della violenza in ricchezza e della ricchezza prodotta – attraverso le leve della speculazione affaristica, della corruzione e della frode fiscale – in ricchezze sempre più grandi. Sono fattore non secondario dell’alimentazione finanziaria dei mercati d’impresa, e non soltanto delle regioni meridionali. Cresce così una domanda sempre più pressante di legittimazione sociale delle componenti più raffinate del ciclo mafioso, mentre prevalgono rappresentazioni fuorvianti e banalizzanti, che riducono la questione criminale mafiosa a ordine pubblico, relegandola nei confini della repressione.

È preoccupante che a parlare di questo siano chiamati solo magistrati, questori e uomini di chiesa. Altri sono i luoghi dove dovrebbero trovarsi analisi, sintesi, traduzioni in nuovi indirizzi della sfera pubblica. Che la spesa per la protezione sociale e gli investimenti siano formidabili strumenti di contenimento dell’espansione del crimine organizzato è dato acquisito nelle scienze sociali. Ma le logiche e le dinamiche del crimine organizzato sono ridotte a poca cosa nel dibattito pubblico, prevalendo rassegnazione e indifferenza. Siamo abituati a non considerare il peso devastante che su tutto ciò hanno cose che noi normalmente consideriamo lontane dalle questioni criminali. L’urbanistica, per esempio. Le scelte fatte a Napoli sono una delle cause più significative della questione criminale e della devianza giovanile. Mentre la debolezza della domanda politica di servizi, educazione, welfare, inclusione e integrazione sociale contribuiscono sempre più all’aggravamento di una situazione nella quale i ragazzi di Secondigliano, un tempo città orgogliosa ed oggi area cittadina degradata e costretta al silenzio da un potente cartello mafioso, studiando o lavorando nel centro di Napoli se richiesti di dire dove abitano, mentono, per evitare di essere discriminati. Cosa c’è di più lontano di ciò dalla promessa di uguaglianza inscritta nel patto costituzionale?

(Intervento tenuto in occasione del “Premio Frunzio”, dicembre 2022)

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(Foto di Paolo Manzo)

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