Rubinetti chiusi

Siccità: il governo sordo alla scienza ora cerca inutili palliativi

Razionamenti - L'esecutivo era stato avvisato da marzo, ma non ha fatto nulla. Adesso è necessario non solo efficientare la rete idrica italiana, che è un colabrodo, ma soprattutto riflettere sul consumo d’acqua e su quali settori incidano maggiormente (agricoltura e zootecnia)

Di Stefano Ditella, Fridays for Future
28 Giugno 2022

Vi avevamo avvertito. Era evidente da marzo. Gli scienziati erano stati chiarissimi nel dire che, in assenza precipitazioni primaverili significative, avremmo vissuto una delle siccità peggiori di sempre, complice la crisi climatica. E ci si poteva e doveva attrezzare per tempo. Ma così non è stato. Mentre al termine di questo inverno il Nord Italia registrava un’anomalia termica di +2,3°C rispetto alla media stagionale, il governo ed il ministro Cingolani erano più impegnati ad approvare il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee), legandoci ancora di più alle fonti fossili. Mentre il Piemonte viveva ben 111 giorni consecutivi senza precipitazioni, la Regione guidata dal presidente Cirio e il sindaco di Torino erano più interessati a rilanciare la costruzione della Nuova Linea Torino-Lione – anche nota come Tav – che, oltre ad avere un bilancio climatico devastante, porterebbe alla perdita di decine di miliardi di litri d’acqua di falda, corrispondenti al fabbisogno idrico annuo di una città di 600.000 abitanti. E nell’ultima settimana, quando ormai vediamo le nostre montagne senza più neve, come se fosse settembre, Eni – azienda partecipata dello Stato italiano – è entrata nel più grande progetto al mondo di gas naturale liquefatto (Gnl) in Qatar, una bomba climatica.

Anziché agire a livello strutturale, le istituzioni stanno ricorrendo a palliativi per cercare di far fronte alla crisi idrica, mentre al contempo gettano benzina sul fuoco alimentando la crisi climatica e l’aumento delle temperature, che da metà 800 si sono alzate di ben 2,4°C in Italia. I razionamenti d’acqua, come già oggi avviene nei paesi più colpiti – e meno responsabili – dagli sconvolgimenti climatici, saranno all’ordine del giorno anche nel nostro Paese se non affronteremo il problema alla radice e continueremo a pensare alla crescita economica come dogma assoluto. Non c’è più tempo per tergiversare, bisogna tagliare ora le emissioni, per evitare che le precipitazioni siano sempre più violente e concentrate in pochi giorni, con lunghi periodi siccitosi e carenze d’acqua. Ma non solo: è necessario efficientare la rete idrica italiana – che oggi è un colabrodo – per ridurre al minimo lo spreco d’acqua, pianificare nuovi piccoli invasi per trattenere le acque, incentivare dal punto di vista economico l’installazione di meccanismi per il recupero e il riuso delle acque, ma soprattutto promuoverne un utilizzo più consapevole e sostenibile.

È però necessario riflettere seriamente sul consumo d’acqua e su quali settori incidano maggiormente. Ridurre il consumo d’acqua domestico è giusto e sacrosanto, ma è bene essere consapevoli che questo incide solo sul 7% dei consumi totali in Italia. Un discorso analogo vale per il settore industriale, che incide per circa l’8% dei consumi e che deve orientarsi verso produzioni meno impattanti e che richiedono meno acqua. Ad esempio, nel settore energetico le fonti rinnovabili dovranno essere il pilastro del nostro sistema energetico anche perché – oltre a emettere pochissima CO₂ – richiedono molta meno acqua rispetto alle fonti fossili. La ridotta disponibilità idrica è un fattore con cui la produzione di elettricità deve confrontarsi urgentemente, in quanto le centrali termoelettriche, specie se attrezzate per la cattura della CO₂, richiedono enormi quantità d’acqua per il raffreddamento.

Ci si chiede infine da cosa dipenda il consumo dell’85% dell’acqua nel nostro Paese. La risposta si trova nel settore primario: agricoltura e allevamento sono le attività che richiedono il maggiore quantitativo d’acqua e, considerando che il 70% della superficie agricola in Ue è destinata a produrre cibo per gli animali allevati, è evidente che il principale imputato è il comparto zootecnico, dall’industria casearia a quella della carne. Secondo il Water Footprint Network, la produzione di carne, infatti, oltre a essere responsabile del 15% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica, ha anche un’impronta idrica altissima: stando ai dati riportati, la produzione di 1kg di carne bovina richiederebbe l’impiego di circa 15.400 litri d’acqua, contro gli appena 1.600 litri necessari per produrre 1kg di cereali. Solo da questi dati è chiaro come un totale ripensamento del settore alimentare, che porti a prediligere gli alimenti vegetali, sia tanto necessario quanto urgente.

Sappiamo perfettamente cosa è necessario fare ed è ora di imprimere una forte accelerata a questa transizione, perché il clima sta già cambiando e i suoi effetti li vediamo qui ed ora, sotto i nostri occhi. E il peggio non è ancora arrivato, perché l’estate è ancora lunga e da qui a settembre rischiamo di trovarci in una situazione estremamente grave e mai sperimentata alle nostre latitudini, che potrebbe comportare effetti devastanti e danni economici incalcolabili. Come giovani che hanno l’intero futuro davanti esigiamo politiche strutturali immediate, perché ci rifiutiamo di immaginare che questa sarà la nuova normalità, causata da pochi che hanno deciso per tutti.

Ti potrebbero interessare

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.