Natura minacciata

Come ogni anno, la piana di Castelluccio torna preda dell’industria del turismo

Fioriture a rischio - Scelte imprenditoriali avventate mettono a rischio la famosa zona dove avvengono le fioriture delle lenticchie, vicino Norcia. I progetti per massimizzare l'afflusso di persone e i ricavi delle visite non considerano la fragilità e unicità del luogo

Di Maria Cristina Garofalo, Mountain Wilderness Italia
20 Giugno 2022

Ad ogni inizio estate, fra i tanti antichi rituali che si ripetono in terra umbro-marchigiana, un posto d’onore spetta alla Fiorita dei Piani di Castelluccio di Norcia che – lo ricordiamo – ricadono nella zona “A” di protezione del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, ai confini del Sito Natura 2000 “Pendici del Redentore”.

In qualsiasi altro luogo civile e ragionevole del mondo basterebbe ciò a determinare un rispetto totale e religioso di quello spazio, nel momento del massimo fulgore fatto di cromatismo e vuoto. Parola quest’ultima che spaventa i più e affascina molti, con esiti differenti e contrastanti: horror vacui da un lato, rispetto ed ispirazione dall’altro.

Non occorre essere asceti, filosofi o ambientalisti d’assalto per capire che tutta la bellezza e l’appeal del luogo risiede proprio nell’immensità e nel silenzio che si offre allo sguardo e al pensiero.
Non serve neppure essere imprenditori “illuminati” per comprendere che l’ambiente, specialmente questo, sia di una fragilità e rarità assoluta e non rigenerabile se sottoposto a sfruttamento intensivo ed urbano come avviene in quell’area da lungo tempo.

Inutile dire che i portatori d’interesse e la popolazione residente (a Castelluccio, al valore ante-sisma oscillante fra 7 e 11 persone), deportata altrove senza troppi riguardi al legittimo attaccamento alla terra, vengono contrapposti agli ambientalisti egoisti, romantici, cattivi e – massimo dell’onta – cittadini, senza alcuna seria analisi del danno che si sta producendo all’invocato “rilancio del territorio”.

Da vent’anni almeno, appena l’aria riscalda e diventa ogni giorno più profumata, ripetiamo incessantemente che il traffico veicolare ed i relativi parcheggi turistici (momentanei ed eccezionali) non possono inghiottire il Pian Grande e le sue lussureggianti cromie per rendere comodo ed urbanizzato l’accesso ai tanti turisti della domenica, spesso più interessati alle emergenze culinarie della zona che non all’incomparabile spettacolo della Natura. Si scontentano ed annullano a vicenda: i primi finiscono per innervosirsi per le lunghe code sotto il sole cocente degne del raccordo anulare, giurando e spergiurando che se ne escono vivi non ripeteranno mai più l’esperienza; la seconda resta soffocata dai miasmi dei tubi di scappamento e schiacciata sotto gli pneumatici che ne abusano i prati. Senza dimenticare la popolazione locale (quella vera, fatta di pochi e genuini agricoltori e allevatori) che vede violati pascoli e coltivazioni.

“Vent’anni dopo”, per dirla con Dumas, non senza la necessità di due sentenze in due successivi gradi di giudizio (Commissariato Usi Civici Lazio, Umbria, Toscana, e Cassazione) quello che predicavamo inascoltati si sta avverando, anche se con storture ed approssimazioni: navette e parcheggi ai valichi (Forca di Gualdo per Visso, Forca di Presta per Ascoli, Scentinelle per Norcia). Risultato: completo godimento di una Fiorita in cui perdere lo sguardo, almeno finché quest’ultimo non incrocia l’orrendo “Deltaplano”, avventurosa ed avveniristica soluzione architettonica per la delocalizzazione delle attività produttive di Castelluccio (ovvero i ristoranti che da tempo immemore reclamavano una location con vista sulla Fiorita), sponsorizzato e fortemente voluto dalla Regione Umbria come segno tangibile di rinascita del territorio (sic!). Poco importa se Castelluccio è ancora un ammasso di ruderi e i vecchi residenti sono ospiti da amici e parenti o in una qualche anonima e inadeguata soluzione abitativa di emergenza.

Risultato eccellente anche per i commercianti e ristoratori, che finalmente sapranno in precedenza quanti ospiti attendere e quanti doverne soddisfare. Sì, perché finalmente pure i non brillantissimi amministratori locali hanno compreso che una pianificazione di presenze ed una prenotazione da spalmare su tutta la settimana garantisce un ritorno economico e d’immagine molto più significativo che non quello derivato dai 3-4 weekend fra metà giugno e primi di luglio, prima che tutto sfiorisca e il sole cocente della piena estate riconduca a più consone mete balneari quei turisti già abbigliati in modo improbabile e inadeguato in ciabatte, canottiere e bermuda, grondanti di sudore sotto gli immancabili cappelli a visiera.

Sembrerebbe tutto risolto con soddisfazione dei vari protagonisti e soprattutto con un respiro di sollievo della Natura, ma i sindaci imprenditori, in nome di un falso comfort di accoglienza turistica e un’ancora più falsa visione ecosostenibile, propongono (non senza bisticciare campanilisticamente l’uno con l’altro) fantasiose e disneyane soluzioni di mobilità alternativa. Cremagliere che da Norcia squarciando la valle di monte Patino conducono a Castelluccio beach; “sistemazione” di carrarecce che si dipartono dal borgo distrutto per consentire al traffico locale di scorrere agilmente fra Castelsantangelo sul Nera e Arquata del Tronto, entrambi distrutti, proprio nei weekend della Fiorita, che in un futuro prossimo e minaccioso potrebbero contenere parcheggi auto in linea, così da contentare gli operatori del Deltaplano ai quali gli ambientalisti cattivi hanno fatto sottrarre e sequestrare 10 ettari di parcheggio in Pian Grande in pieno Uso Civico impedendo anche la realizzazione di nuovi posti auto, oltre alla costruzione del secondo piano della struttura!

La rappresentanza tecnico-scientifica e ambientalista all’interno dell’Ente Parco, per la democrazia dei numeri, è in minoranza dovendosi barcamenare fra le esigenze di conservazione e tutela del territorio e i ricatti gestionali più o meno latenti dei sindaci cui sta più a cuore un business mordi e fuggi e uno sviluppo dell’area legato a modelli di comfort cittadino, asfalto e cemento, piuttosto che la ricostruzione dei borghi distrutti dal sisma del 2016.

Più di uno fra loro va predicando in situazioni pubbliche la “necessità di tornare all’antropocentrismo per far ripartire il territorio”, proponendo nuovi impianti di risalita e bacini idrici in quota per la neve artificiale, in luoghi in cui quella naturale non cade quasi più e le temperature – come nel resto del Pianeta – si sono drammaticamente ed irrimediabilmente alzate. Ma loro non se ne sono accorti, immersi negli affari e nei deliranti progetti di sviluppo, senza alzare mai il capo, senza guardare il cielo e i prati e le vette che li circondano e ringraziare Dio o chi per lui li abbia miracolati con una nascita o rinascita in una terra così bella, unica, eccezionale e irripetibile.

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