L'americano a Roma

Il bunga bunga e quel lungo bacio (letterario) di Alan a B.

L'amore smisurato per l'ex Cavaliere - Ripubblichiamo una recensione – pubblicata sul Fatto Quotidiano nell'ottobre 2015 – al libro del giornalista Usa su Silvio

3 Maggio 2022

Ripubblichiamo un articolo su Alan Friedman uscito sul Fatto Quotidiano nell’ottobre 2015


“Sono un giornalista americano, chi sono io per giudicare Berlusconi?”. Alan Friedman ha presentato così, a Ballarò, il suo libro-biografia su Berlusconi, My Way. Un libro in cui, nell’introduzione, si legge dell’amore smisurato del giornalista “americano” per l’intervista Frost/Nixon (un cult del giornalismo mondiale) o per il caso Watergate. Eppure, di quell’epopea, nel libro non c’è traccia. David Frost mise Richard Nixon a nudo, lo lasciò parlare, portandolo al punto della perdizione fino a quando, fissando la telecamera, ammise, di fatto, le proprie colpe. Friedman, invece, ammicca, conforta, terge il sudore. Accarezza la nostalgia del protagonista, ne sospinge le previsioni.
Nemmeno la vena poetica di Sandro Bondi avrebbe potuto produrre la quantità di aggettivi superlativi che l’emulo di Bob Woodward produce in 390 pagine. Se Berlusconi sta parlando piano, è “ispirato”, se “scende in campo” pronuncia un discorso “elettrizzante”, le sue capacità di comunicazione sono “leggendarie”, se sprona l’ex allenatore del Milan, Inzaghi, lo fa con una voce “così profonda e risonante che sembra provenire dagli anni in cui suonava il contrabbasso nell’orchestra di Fedele Confalonieri”. Dopo aver parlato di donne per un’ora, “è affamato”. Osservato nella tenuta di Arcore “ha un’aria romantica mentre con alcuni amici riflette sulla sua vita”.

Il nostro “americano a Roma” dice di aver voluto portare i lettori dentro la vita di Berlusconi, “il Berlusconi vero, quello che non avete mai visto”. E, siccome il mestiere lo conosce, offre squarci di vita vissuta. La “stanza dei divani” a Villa San Martino, la scena dell’elicottero che atterra a Milanello, l’angolo degli impianti lussuosi in cui si fa la barba e “si rinfresca un po’”. Del pranzo del lunedì, quello in cui Silvio fa il punto con l’entourage più ristretto, si intravede la disposizione a tavola: “Berlusconi irrompe (sic) nella sala da pranzo e abbraccia Marina. Dall’altra parte del tavolo Confalonieri alza gli occhi dal piatto e grida un saluto, i manager Fininvest prendono posto di fronte a Berlusconi che adesso ha Confalonieri alla sua destra e Marina alla sinistra e all’altro capo si accomoda in silenzio al posto che gli stato assegnato Niccolò Ghedini”. Quando a metà del pranzo compare Pier Silvio “prende posto accanto a sua sorella Marina”.
La squadra è schierata. Nella vita di Berlusconi è quasi sempre la stessa anche se mancano due uomini decisivi: “uno degli alter ego più importanti” di Berlusconi, “quasi sullo stesso piano di Fedele Confalonieri per vicinanza e amicizia”, Adriano Galliani. L’altro, invece, è in galera ma “è la migliore persona che si possa immaginare” dice Berlusconi parlando di Marcello Dell’Utri: “Sono convinto che l’unica ragione per cui è stato condannato e messo in galera è perché è amico mio”.

Dal libro, misteriosamente, quasi scompare l’ombra politica dell’ex Cavaliere, “l’eminenza grigia” Gianni Letta. Se a Confalonieri sono riservate 41 pagine e a Galliani 24 Gianni Letta deve accontentarsi di 6. La prima volta che viene citato si ricorda che “nell’aprile 1993 (…) ammise di aver personalmente infilato 70 milioni di lire in una busta e di averli mandati con un fattorino al segretario del Partito socialdemocratico”. Un omaggio degno di una fucilata.
Non mancano aneddoti gustosi, come quello riferito alla “culona inchiavabile” e che Berlusconi, prendendosela con Il Fatto, definisce la fonte di tutti “i miei problemi con Angela”. Quando Berlusconi incontra l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder quello “con un calice in mano”, grida “Silviooooo, hai fatto benissimo. È totalmente vero”.
Oppure l’amicizia con Gheddafi: “Ogni volta che andavo in visita in Libia mi imbarazzava con la sua generosità. Una volta mi donò una famiglia di cammelli, padre, madre e cucciolo”. Di Sarkozy “preferisco non parlare”, memore di quell’incontro in cui, dopo avergli porto la mano, “lui mi fissa, e si rifiuta di stringermela. Anzi, mi sposta il braccio, mi spinge il braccio di lato…. Nessuno mi ha mai fatto una cosa del genere”.

La versione è sempre quella di B. che non si smentisce mai. L’origine dei soldi, ad esempio, è liquidata in poche battute. “La stampa italiana, e molti magistrati, alimentano voci” scrive guardingo Friedman, “sui primi progetti immobiliari, finanziati da misteriosi capitali svizzeri… Chi erano i finanziatori occulti di Berlusconi?”. Berlusconi non può che cedere: “Abbiamo ricevuto alcuni finanziamenti da fiduciarie di Lugano perché alcuni investitori, come Carlo Rasini, possedevano legalmente conti di deposito in Svizzera”. “Ma sapete una cosa…” continua Berlusconi: “Ci sono state tante di quelle indagini, un sacco di inchieste. E non è mai saltato fuori niente di irregolare”. “Quando morirò, dice ai suoi figli, vendete pure tutto ma non vendete il Milan e questa casa, Villa San Martino”. Dal libro si capisce bene che ci tiene. È il quartier generale, la base di ogni scorribanda. Friedman lo sa e così relega a una frase – “l’acquisto rimane oggi un oggetto di polemica per i suoi critici” – quell’incredibile storia fatta di cavilli, raggiri legali e alambicchi con cui la marchesa Casati Stampa si vide sfilare, per due soldi, la tenuta.

Al nome di Vittorio Mangano, “il sorriso di Berlusconi si fa intenso” e mostra “un velo di nostalgia”, quasi un filo di commozione. Infine, il bunga bunga “Berlusconi si offre come guida alla sala “cult”. Si alza, sfodera tutta la sua spavalderia, ruota teatralmente verso sinistra e ordina: “Mi segua!”. Attraversa un soggiorno, apre un’altra porta e lì “con un gesto di un d’Artagnan, o del presentatore di uno dei suoi varietà telesivivi, Berlusconi apre la porta” (sic). “È proprio questa la sala del bunga bunga?” chiede il giornalista: “Non una camera da letto ma un tavolo extralarge circondato da quadri antichi e specchi barocchi?”. Di colpo il lettore dimentica il presente, Ruby resta la millantatrice che era, Noemi un’invenzione di Veronica Lario, Patrizia D’Addario scompare nelle nebbie, e infatti nel libro non è mai citata; le “olgettine” solo amiche in difficoltà che “ho sempre voluto aiutare”, e grazie a un giornalista d’assalto, in grado di aggredire il potere come nessuno, scopre quello che non avrebbe mai sospettato: “La sala del bunga bunga è una sala da pranzo”.

E come un Alberto Sordi di Un americano a Roma, sicuro e convinto delle proprie ragioni, Alan Friedman sogghigna beffardo dentro di sé: “A’ Frost, m’hai provocato e io me te magno!”.

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