Pensare al futuro

Gas e atomo, traballa la credibilità climatica dell’Europa

Condizioni troppo vaghe - Con la nuova tassonomia si rischia di causare uno spreco enorme di capitali e risorse, distraendoli invece dalle tecnologie rinnovabili e abilitanti veramente necessarie per la transizione. L’Italia dovrebbe far valere il proprio peso, politico e istituzionale, allineandosi ai Paesi contrari ed esprimendosi pubblicamente

Di Davide Panzeri, Senior Policy Advisor, Programma Europa, ECCO think tank
18 Gennaio 2022

La Commissione europea ha pubblicato la bozza del nuovo atto delegato della tassonomia verde, che include anche gas e nucleare. La bozza della Commissione detta le condizioni perché una centrale nucleare o a gas possa essere considerata verde all’interno della tassonomia europea. Per il nucleare le condizioni indicate sono principalmente legate all’aderenza ai più alti standard di sicurezza già imposti da accordi internazionali. L’unica condizione aggiuntiva rilevante è quella che il progetto deve essere approvato entro il 2045. Per il gas invece sono proposte una serie di condizioni generose da rispettare qualora le emissioni di gas serra del ciclo di vita della centrale a gas fossile non rispettino il limite proposto dal gruppo tecnico di esperti di 100g CO2e/kWh anche attraverso il ricorso alla cattura e allo stoccaggio del carbonio.

La proposta non risolve le criticità evidenziate in una nostra precedente analisi del 19 novembre 2021, che indicava quanto potesse essere dannosa l’inclusione di nucleare e gas nella tassonomia. In primo luogo, le condizioni poste per nuove centrali a gas fossili risultano inadeguate nella pratica e inefficienti. È positivo, infatti, che il gas possa essere accettato soltanto per un numero limitato di anni (nonostante la data del 2030 per nuove approvazioni sia molto generosa), in situazioni dove serva a sostituire centrali a carbone o gas inefficiente esistente, dove l’impiego delle rinnovabili non sia possibile e che in ogni caso il suo utilizzo sia soggetto a dei limiti di emissione. Nella pratica però queste condizioni sono, nel migliore dei casi, troppo vaghe per essere efficaci e rischiano di risolversi in un esercizio amministrativo e formale. Per esempio, non è chiaro chi dovrebbe stabilire se le argomentazioni di un operatore di mercato sul perché non sia possibile sostituire il servizio di una centrale a carbone con generazione rinnovabile e infrastrutture abilitanti equivalente siano valide o meno. Non sono infatti al momento previsti, né sembrano possibili, dei meccanismi di verifica credibili, di applicazione (enforcement) delle condizionalità e di sanzioni se i criteri non venissero rispettati.

La semplice promessa ex ante di aderire alle condizioni poste è sufficiente per ottenere la certificazione verde e accedere ai capitali. Una volta finanziata e costruita la centrale, non vi è alcun tipo di infrazione prevista se questa designazione dopo qualche anno disattende le condizioni originali. La clausola di eccezione di 550kg CO2e/kW su 20 anni concessa agli impianti che non rispettano il limite dei 270g CO2e/kWh è eccessivamente permissiva, e non è in linea con limiti imposti in altri Regolamenti e politiche. Il Regolamento del mercato elettrico infatti non prevede per le nuove centrali che intendono partecipare al capacity market, alcuna eccezione al limite di emissioni imposto. La Banca europea degli investimenti applica un limite di 250g CO2e/kWh senza alcuna eccezione.

L’idrogeno verde non ha senso per la produzione di elettricità

In secondo luogo, l’approccio scelto per evitare il rischio di lock in tecnologico del gas fossile nel settore elettrico, che impone una riconversione a gas rinnovabili o basso contenuto di carbonio (come biometano, idrogeno e metano sintetico) entro il 2035, è altamente inefficiente e un inutile spreco di risorse. Se prendiamo l’idrogeno verde e consideriamo le perdite di efficienza (stimate in aggregato al 64%) a ogni passaggio della produzione, trasporto e consumo dell’energia elettrica, emerge che per ogni kW di energia elettrica di una centrale a idrogeno verde sono necessari 2,8 kW di energia elettrica per la sua produzione. Questo enorme spreco è insostenibile e insensato per la produzione di elettricità a fronte di alternative rinnovabili più efficienti ed economiche. L’idrogeno verde, infatti, che ha un importantissimo ruolo da giocare nella decarbonizzazione dei settori industriali come il siderurgico, non ha alcun senso come fonte termica per la produzione di energia elettrica. Inoltre, l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili sarà costantemente più economica sia del gas fossile che dei gas rinnovabili ben entro la fine di questo decennio. Impiegare nuovi capitali privati o supporto pubblico attraverso il capacity market in nuove centrali a gas, di cui in Italia è stata proposta la costruzione per un totale di 14 GW, significa esporre investitori e contribuenti al forte rischio di perdite attraverso attivi non recuperabili (“stranded asset”) per un valore stimato di 11 miliardi di euro. In terzo luogo, per il nucleare, al di là della questione delle scorie e della loro difficile e ancora irrisolta gestione (chiaramente non compatibile con il principio di “non provocare danni significativi” che sta alla base della tassonomia) l’esperienza di costruzione recente del terzo reattore di Flamanville in Francia, non ancora completo 14 anni dopo l’inizio dei lavori e molto più costoso del previsto, dimostra come questi progetti siano molto lunghi e antieconomici. Una centrale approvata quest’anno non sarebbe costruita in tempo per contribuire agli obiettivi climatici del 2030, e una centrale approvata vicino al limite del 2045 sarebbe del tutto irrilevante per gli sfidanti obiettivi di decarbonizzazione del 2050. L’inclusione di gas e nucleare nella tassonomia rischia dunque di causare uno spreco enorme di capitali e risorse, distraendoli invece dalle tecnologie rinnovabili e abilitanti (come stoccaggi e batterie, reti, sistemi intelligenti di gestione della domanda) veramente necessarie per la transizione.

Cosa dovrebbe fare l’Italia

Infine l’inclusione di gas e nucleare avrebbe un impatto piuttosto negativo a livello internazionale sulla credibilità climatica dell’Europa, dimostrando meno ambizione di Russia e Cina sulla tassonomia. È plausibile che questo possa portare a un abbassamento globale degli standard di altre tassonomie, precipitando una corsa al ribasso degli standard di altri Paesi. La Corea del Sud, ad esempio, nonostante forti critiche, ha recentemente annunciato l’inclusione del gas ma l’esclusione del nucleare all’interno della propria tassonomia che troverebbe così una sponda in Europa. Se il segnale che viene inviato a livello internazionale dalla tassonomia è uno di bassa ambizione, l’Europa avrà perso un’occasione unica di influenzare il mix energetico di nazioni terze in senso sostenibile.

In conclusione, fondamentalmente la proposta della Commissione non fornisce agli investitori la chiarezza necessaria perché i capitali privati siano indirizzati verso attività realmente sostenibili. È vero che gli operatori finanziari dovranno dichiarare la percentuale di attività legate a nucleare e gas all’interno di un portafoglio di investimenti etichettato come verde, ma il fatto che nucleare e gas vengano comunque indicate come ‘sostenibili’ creerà confusione e farà sì che gli operatori finanziari preferiscano continuare a utilizzare gli standard già esistenti piuttosto che rischiare di affidarsi alla tassonomia.

Cosa può fare l’Italia? L’Italia, sia attraverso il ministero dell’Economia e delle Finanze che attraverso i vertici politici, dovrebbe rispondere alla consultazione opponendosi all’inclusione di nucleare e gas nella tassonomia verde sia per motivi di merito che di inadeguatezza rispetto ai fini dello strumento. L’Italia dovrebbe richiedere che il dibattito necessario e legittimo sull’utilizzo di questi come fonte energetica di transizione sia svolto in uno spazio definito, preposto ma separato da quello della tassonomia verde.

L’Italia dovrebbe far quindi valere il proprio peso, politico e istituzionale, allineandosi ai Paesi contrari ed esprimendosi pubblicamente. Questo approccio è anche quello più in linea e coerente con la leadership climatica internazionale del 2021 e con gli impegni presi sotto la Presidenza G20, in particolare quello di allineare tutte le politiche all’obiettivo di 1,5 gradi, e alla COP26, in particolare quello di terminare il supporto pubblico internazionale a tutti i combustibili fossili, compreso il gas, entro la fine del 2022 e quello di aderire come “amico” all’alleanza per terminare la produzione nazionale di idrocarburi (Beyond Oil and Gas Alliance, BOGA).

Infine, se l’atto delegato sul gas e nucleare non trovasse la maggioranza per essere respinto, l’azione minima necessaria per limitare la costruzione di nuove centrali a gas fossile non necessarie alla transizione è quella di eliminare dal testo attuale la clausola di emissione altamente permissiva di 550kg di CO2e per kW installato su 20 anni concessa agli impianti che non rispettano il limite dei 270g di CO2e per kWh.

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