Il voto nel 2022

Francia, nome in codice Akira: come ti scompagino le presidenziali

Nuovo movimento - Dagli happening teatrali ai dibattiti, il nucleo vuole trattare fuori dagli schemi le disuguaglianze sociali e l’emergenza sul clima. Ma anche a sinistra suscita perplessità: è un vero soggetto politico o moda del momento?

Di Mathilde Goanec
29 Novembre 2021

Una domenica di settembre, una giovane donna mascherata prende la parola sui gradini del museo Carnavalet di Parigi, davanti ad un gruppo di persone, tutte con lo smartphone in mano per filmare la scena. La giovane sta lanciando una campagna per le presidenziali del 2022: “Siamo figli di un’epoca messa a fuoco e fiamme, ma vedo popoli interi insorgere per la dignità. Mi chiamano Akira, un nome per tutte e per tutti. I pagliacci in cravatta – continua – sanno solo proporci elezioni senza sapore. Le opzioni che si prospettano davanti a noi sono sempre le stesse: votare per esclusione, per fare blocco o non votare affatto. Akira è la costruzione di una forza politica all’altezza della nostra epoca”.

La giovane donna esce di scena sotto una pioggia di coriandoli dorati. La piattaforma politica “Akira” prende il nome da un classico del manga giapponese di genere “cyberpunk”. Sui social distilla i fondamenti della sua campagna. Intende intervenire nell’avventura presidenziale sui temi dell’emergenza climatica, delle disuguaglianze sociali e della ”svolta fascista e autoritaria in atto in diversi Paesi”. Si inscrive anche in un processo rivoluzionario di ”lotta sociale”. Ma una bufera si è scatenata sul giovane movimento. Il video girato al museo parigino, postato sui social, ha generato una cascata di reazioni di scherno da parte di militanti di sinistra, di sostenitori dei partiti tradizionali e commentatori improvvisati. “Al di là dell’happening al Carnavalet, pensare a forme nuove per intervenire nel dibattito sociale e politico, è una questione che condividiamo – osserva un membro della direzione dell’Npa, il Nuovo partito anti-capitalista, che parla a titolo personale -. Ma la sostanza è importante quanto la forma. Questi di Akira pensano di essere i soli a riflettere su queste tematiche? Non sono seri”. Altre organizzazioni, soprattutto nel campo dell’ecologia radicale, sottolineano che, per il momento, “nessuno ha rivendicato l’appartenenza al movimento ”. Alcuni criticano la creazione continua di nuovi collettivi e organizzazioni che corrono dietro alle mode. Akira, insomma, a prima vista, non sembrerebbe aver conquistato i social network né essere riuscito a superare i confini della capitale. “È stata dura, soprattutto da parte degli amici di sinistra”, ammette Raphaël, uno dei suoi membri. Lo incontriamo in una riunione del gruppo che, da inizio novembre, si ritrova in una boutique di abiti di seconda mano del centralissimo quartiere Beaubourg, a Parigi. Uno dei partecipanti chiede spiegazioni sulla “teatralizzazione” del movimento: “Vogliamo unire lo spettacolare al lavoro di fondo – risponde Tito -. Sapevamo che ci sarebbero state critiche. La questione era soprattutto capire se saremmo stati presi sul serio oppure no”. Il video al museo Carnavalet è stato visionato due milioni di volte e ha generato centinaia di chiamate e messaggi sui social. “Era il nostro obiettivo. Ora possiamo scendere in campo”. Per fine novembre, Akira ha organizzato un incontro con altri collettivi militanti e una formazione sull’antifascismo. Sabato hanno partecipato a una mobilitazione contro l’estrema destra e il razzismo lanciata da varie organizzazioni e partiti. Hanno anche pubblicato un nuovo video contro il polemista di estrema destra Eric Zemmour, che aspira all’Eliseo. Allo stesso tempo, hanno previsto delle operazioni di solidarietà, in particolare nella periferia est di Parigi. Nuove iniziative sono già previste per gennaio.

Diverse incontri si sono tenuti a Parigi, ma anche nella sua regione, a Montreuil, Bagnolet, Saint-Denis, e dei nuovi gruppi si stanno formando in Bretagna e nel centro della Francia, vicino a Clermont-Ferrand, a Marsiglia e Bordeaux. In questa sera di novembre, a Parigi, la ventina di persone presenti alla riunione vi partecipa soprattutto per curiosità. Tra loro ci sono anche Isabelle, 54 anni, e Jean-Philippe, 55 anni, due amici “gilet gialli” del nord di Parigi, entrambi alla ricerca di asilo politico. “Le manifestazioni contro il pass sanitaire ci sembrano una battaglia persa. Non capiamo come mai non ci siano ancora mobilitazioni in vista delle presidenziali”, osserva Isabelle. Léo, Idriss, Maya, Pierre, Tito, già membri di Akira, raccontano di essersi incontrati nei diversi movimenti sociali degli ultimi anni, dai cortei contro la riforma del Lavoro di François Hollande al movimento Nuit Debout, alle mobilitazioni femministe, antirazziste o anti-islamofobia. Altri membri del gruppo partecipano a mense autogestite per aiutare i migranti o hanno partecipato ad organizzazioni antifasciste e anticapitaliste, o sono vicini a movimenti anarchici. Yvan, sulla trentina, ha deciso di venire stasera perché è “furioso” riguardo alla questione ambientale. Da tempo ha smesso di andare a votare: perché allora non appoggiare una candidatura poliedrica, al servizio delle idee e delle lotte sociali? Nicolas è stato attivista di Occupy Wall Street dodici anni fa, a New York: “Unire le lotte, organizzare mobilitazioni che hanno un certo impatto, è importante – dice –, ma per esperienza, so che senza obiettivi e una strategia chiara, il progetto è destinato a fallire”. Durante la discussione, emergono altre problematiche, note alle mobilitazioni contemporanee: la strategia, il costo personale dell’impegno militante, le linee rosse di un movimento che si dichiara anticapitalista e rivoluzionario, il rapporto con le istituzioni. “Vogliamo che l’anno prossimo i cittadini possano votare per Akira, pur votando anche per un candidato che possa essere eletto, se preferiscono non astenersi nel contesto attuale”, osserva Tito. Per Idriss è necessario “essere estremamente attenti ai rapporti di potere tra i membri del gruppo”. Di qui l’idea di creare dei canali decisionali molto fluidi. “Il desiderio di dre vita ad un collettivo politico senza un leader esiste, ma vediamo anche che questo tipo di esperienze il più delle volte non durano a lungo – aggiunge Tito -. Un’altra delle nostre preoccupazioni è l’efficacia. Abbiamo quindi creato delle cerchie più o meno decisionali e più o meno coinvolte, con un investimento basato sul volontariato e la possibilità di passare dall’una all’altra a seconda del tempo che si ha a disposizione, dell’energia, del lavoro”. I membri di Akira non vogliono neanche essere “dogmatici”. Rifiutano “l’ideologia scolpita nella pietra” o di “dividere i temi in gerarchie”. Desiderano dare la parola “ai diretti interessati” in una logica intersettoriale.

La cosa solleva molti dibattiti. “Per me, il femminismo è una forma di militantismo esclusivo. Non riesco a capire come si possano includere le minoranze di genere in questa battaglia”, sostiene Meriem, una giovane donna che fa parte di un gruppo femminista che incolla messaggi sui muri di Parigi per denunciare le violenze contro le donne. “Quello che dici può risultare iper violento nei confronti delle persone che non si riconoscono né come donna né come uomo”, reagisce Lina. Léo suggerisce di portare avanti questi discorsi in un “ambiente più informale”. Ma, a fine serata, Pierre conferma uno dei principi fondamentali del movimento, di cui diversi membri provengono dalla comunità Lgbtqia+: “Non possiamo escludere queste persone dalle nostre lotte politiche, è fuori discussione. Come l’antirazzismo, questa battaglia fa parte dei nostri valori”. “Siamo seri, la situazione non è pre-rivoluzionaria”, osserva una donna sulla cinquantina, sul finire della riunione, ricordando molte discussioni militanti dell’estrema sinistra. Il primo a reagire è Jean-Philippe, già “gilet giallo”: “Chi avrebbe mai detto, fino a qualche mese fa, che si sarebbe ancora potuta gridare la parola “rivoluzione”, a migliaia di persone sugli Champs-Élysées? Nessuno”. Nel suo manifesto, pubblicato alcuni giorni fa, l’organizzazione politica afferma di vedere nella “sincerità” e nel rifiuto del cinismo un’“arma rivoluzionaria”. Alla fine della riunione, la maggior parte dei nuovi arrivati chiede di poter aderire all’organizzazione, alcuni perché ci hanno creduto davvero, altri solo per “vedere come va”. Fino a che punto e in che modo Akira potrà davvero far “deragliare” il gioco presidenziale?

(Traduzione di Luana De Micco)

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