Il nuovo piano

Mps, svendita a Unicredit pagata con 6mila esuberi

17 Dicembre 2020

Oggi l’ad del Monte dei Paschi, Guido Bastianini, in carica dal 18 maggio, presenterà al cda della banca senese controllata al 68,25% dal Tesoro un nuovo piano industriale, il terzo degli ultimi otto anni. I rumors parlano di nuovi esuberi, 3mila se la banca resterà da sola, ma destinati a crescere a 6mila se invece convolerà a nozze con UniCredit, e della chiusura di altre filiali, fino a 700. I sindacati hanno già fatto muro. Il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha affermato che “se il governo permette” la vendita di Mps a UniCredit con incentivi pubblici per miliardi “sarà complice di una macelleria sociale che contrasteremo. Il presidente della Toscana Eugenio Giani la pensa come noi”. La banca è ormai l’ombra del colosso che fu, ma al suo interno le logiche sono rimaste le stesse.

È la terza mannaia in 8 anni. A luglio 2012 il piano presentato dall’allora ad Fabrizio Viola fece 8.500 esuberi tramite pensionamenti. L’accordo di solidarietà firmato il 19 dicembre 2012 per il triennio 2013-2015, poi prorogato, introdusse da tre a sei giorni l’anno di “solidarietà”, tagliò del 23,5% il Tfr dei dipendenti ed esternalizzò quasi 1.100 bancari del back office conferendone il ramo d’azienda alla newco Fruendo partecipata da Bassilichi, partner del Monte, e da Accenture Global Services. L’esternalizzazione finì in un diluvio di cause di lavoro e reintegri.

A fine ottobre 2016 altro giro di giostra: il nuovo ad Marco Morelli presentò il piano 2016-2019 con il taglio di 500 filiali e altri 1.400 esuberi oltre ai 1.200 da realizzare già stabiliti dal piano di Viola. Nonostante il salvataggio della banca con la nazionalizzazione del 2017, Mps è tracollata: dal 2012 al primo semestre 2020 i dipendenti sono calati di un quarto a poco più di 22mila, i dirigenti del 37% da 440 a 277 e i costi del personale del 28% a 1,43 miliardi di fine 2019, le filiali dimezzate da 2.671 a 1.421. Conseguenza del calo dei clienti, scesi da 6 a 4,4 milioni (-27%), e degli attivi, crollati del 35% a 142 miliardi.

Ma il “groviglio armonioso” in Mps e a Siena non cambia mai. Durante l’epoca Morelli, nonostante la crisi e il piano lacrime e sangue a Natale 2017, Mps sfornò 49 nuovi dirigenti e il 14 novembre dell’anno scorso ne promosse altri 34. Tra questi Diana Chiaraluce, oggi responsabile del servizio di valutazione del personale che nel 2013 era ancora un’impiegata. Chiaraluce è moglie di Paolo Calosi, numero 2 della direzione risorse umane del gruppo con delega ai dipendenti della rete. Dal 2002 al 2006 (epoca Mussari) Calosi è stato segretario del coordinamento Fisac Cgil. Nell’ultima infornata di dirigenti, due terzi provenivano proprio dalla rete. Il sindacato dei bancari della Cgil è la sigla più rappresentativa e potente nel gruppo e piazza i suoi uomini nelle posizioni chiave non solo nel Monte, ma anche in città: negli ultimi decenni buona parte dei sindaci Pci, Pds, Ds e Pd e molti consiglieri comunali lavoravano al Monte ed erano iscritti alla Fisac.

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