Sui marmi Torlonia nascerà un museo

14 Ottobre 2020

Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è finalmente aperta ai Musei Capitolini, lunedì 12 ottobre, la grande mostra I marmi Torlonia. Collezionare capolavori,inizialmente prevista per il 3 aprile e rimandata a causa della pandemia.

La collezione Torlonia è la più grande raccolta di scultura antica in mani private, e non era visibile da molti anni: questa mostra è il frutto di un accordo fra la Fondazione Torlonia e il ministero dei Beni culturali stipulato il 15 marzo 2016 (Direttore generale all’Archeologia era allora Gino Famiglietti).

La mostra dei marmi Torlonia riporta alla pubblica attenzione una straordinaria serie di sculture greche e romane che da troppo tempo erano diventate ‘invisibili’. L’hanno voluta il principe Alessandro Torlonia, che anche a tal scopo ha costituito qualche anno fa la Fondazione Torlonia, e il Ministero dei Beni culturali, e vi hanno contribuito decine di persone, dai curatori ai restauratori, dai funzionari del Ministero e dei Musei Capitolini a Bvlgari che ha sponsorizzato le operazioni di restauro, da sofisticate ditte specializzate nel trasporto e allestimento di opere d’arte come Artería e Articolarte allo Studio Chipperfield che ha progettato il design delle sale al grafico Leonardo Sonnoli, al maestro delle luci Mario Nanni, agli archeologi e storici dell’arte che hanno scritto in catalogo, a Electa che ha contribuito in modo decisivo all’organizzazione e alla stampa del catalogo. Tanto impegno è giustificato non solo dalla mostra, ma da quel che dovrà venire dopo. L’accordo del 2016 prevede infatti che, dopo la mostra, tutte le opere del Museo Torlonia “saranno stabilmente destinate alla pubblica fruizione (…) negli spazi a tal fine individuati” secondo “un programma organico incentrato sulla esposizione ragionata e stabile (…) in una struttura espositiva da individuarsi congiuntamente” dal Ministero e dalla Fondazione Torlonia. Il fine ultimo di questa mostra, dunque, va oltre la mostra, e punta sulla ricostituzione, seppure in altro luogo e con diverso criterio, del Museo Torlonia che un altro principe Alessandro fondò nel 1875, appena cinque anni dopo che Roma era diventata capitale dell’Italia unita.

Era fresca la memoria della Breccia di Porta Pia (va ricordato che la capitolazione dell’esercito pontificio il 20 settembre 1870 fu firmata a Villa Albani, già allora in proprietà Torlonia), quando si apriva questo museo privato, che celebrava i fasti di una grande famiglia, ma al tempo stesso offriva un ambizioso spaccato di quella vitale presenza di arte classica che alla storia di Roma appartiene da sempre. Nei primi anni di Roma capitale d’Italia il governo nazionale appena insediatosi controllava sì una città di impareggiabile ricchezza monumentale, ma non aveva nessun museo paragonabile al Louvre, al British Museum, al Prado, i Musei Capitolini essendo di spettanza municipale, mentre i Musei Vaticani erano rimasti al Papa. Il Museo Torlonia arricchì allora il novero dei musei romani con una larghezza di mezzi e di visione senza paralleli, pescando dalle spettacolari raccolte che Alessandro Torlonia e il padre Giovanni avevano messo insieme nel corso dell’Ottocento, mediante scavi nelle proprie tenute o con cospicue acquisizioni, a cominciare dalla prestigiosa collezione Giustiniani, dalle sculture appartenute a Bartolomeo Cavaceppi, dalla stessa Villa Albani.

Le coordinate storiche e culturali del Museo Torlonia al momento della sua fondazione poterono forse sfuggire ai contemporanei, ma non possono eludere oggi la nostra analisi. Era, quella, l’ultima e la più vasta fra le collezioni principesche di antichità in Roma, e dunque segnava in certo modo la fine di una lunga stagione. Era un’impresa interamente privata, eppure mediante la costituzione in Museo dichiarava l’ambizione di esercitare una funzione pubblica, sottolineata anche dalla qualità degli archeologi che ne curarono i cataloghi, Pietro Ercole Visconti e poi il nipote Carlo Ludovico. Era l’esito di assidui scavi recenti nella campagna romana, e al tempo stesso di sapienti e fortunati acquisti di collezioni più antiche, rispecchiando così la duplice origine delle raccolte romane di antichità sin dal Quattrocento. Si proponeva insomma come una collezione di antichità, ma soprattutto come una collezione di collezioni.

Di fronte a una storia così significativa, la mostra Torlonia non poteva rinunciare a raccontarne la genealogia e lo spirito, ma nemmeno a evidenziarne l’esemplarità nel percorso dell’arte antica dalle rovine al museo che caratterizza l’Europa intera trovando in Roma il suo più alto esempio. Il Campidoglio si è proposto, per così dire da solo, come la miglior sede possibile di una mostra come questa, grazie alla piena convergenza coi progetti della direzione dei Musei Capitolini, ai quali, come primo Museo pubblico del mondo, ben si addice esplorare le origini dell’istituzione-museo.

Nel VI secolo, secondo Cassiodoro, l’Urbe era piena di un populus copiosissimus statuarum (furono contate in quegli anni 3.890 statue di bronzo esposte in luogo pubblico), ma ben presto la città e il suo patrimonio artistico andarono in rovina, e per molti secoli migliaia di statue giacquero indisturbate nei ruderi della città. Ma dal principio del Quattrocento, dopo il definitivo ritorno dei Papi da Avignone a Roma, l’orgoglio civico dei “Romani naturali” li spinse a raccogliere nelle rovine testimonianze della gloria trascorsa, dando inizio a un collezionismo disordinato e diffuso. Ad esso il papa Sisto IV rispose nel 1471 con un gesto di calcolata generosità sovrana, trasferendo in Campidoglio i bronzi del Laterano (fra cui la Lupa e lo Spinario), “restituiti e assegnati in perpetuo al popolo romano, dal cui seno esse erano sorte”, come dice la famosa iscrizione, ancora conservata. Su questo nucleo andrà poi a innestarsi la fondazione ad opera di Clemente XII dei Musei Capitolini, primo museo pubblico d’Europa, e dunque del mondo (1734). Si erano intanto moltiplicate in Italia e in Europa le collezioni private e sovrane, sempre intese come appannaggio di chi le possedeva, che avrebbero dato più tardi origine a grandi musei pubblici, dagli Uffizi al Louvre all’Ermitage.

Per singolare destino, le collezioni del Museo Torlonia, avendo inglobato nel tempo prestigiosi materiali di antiche raccolte romane, si prestano come poche altre ad offrire al visitatore uno spaccato di questa storia : ed è lungo questa linea che è stato configurato il percorso della mostra. Essa allinea sculture che sono, una per una, di altissima qualità e interesse, ma al tempo stesso raccontano, procedendo all’indietro nel tempo, la storia esemplare della nascita e dello sviluppo del collezionismo di antichità, e dunque (indirettamente) il formarsi dell’istituzione-museo in quella sua culla privilegiata che è Roma. Cinque le tappe di questo racconto : la prima sezione propone un’evocazione del Museo Torlonia com’era a fine Ottocento; la seconda offre una scelta di marmi scavati nelle proprietà di famiglia nel corso del secolo XIX; la terza mostra preziose sculture provenienti da raccolte settecentesche (Cavaceppi e Albani); la quarta restituisce una scelta dalla collezione Giustiniani, fra le più celebrate del Seicento; seguono, nell’ultima sezione, opere da collezioni del Quattro e Cinquecento (come Cesi, Pio da Carpi, Cesarini). Infine, il percorso si conclude nell’esedra dei bronzi di Sisto IV, ristabilendo il nesso fra il primo collezionismo privato del secolo XV e l’ “immensa benignità” di quel Papa, che volle il popolo romano titolare unico delle proprie antichità.

Un percorso come questo è stato studiato anche per lanciare un messaggio e un auspicio: che questa mostra dei Marmi Torlonia, realizzata in pieno accordo fra la Fondazione Torlonia e le istituzioni pubbliche, ma anche in armonia fra la Soprintendenza di Stato e la Sovrintendenza Capitolina, col contributo di finanziamenti, esperienze, professionalità, ricerca di tanti, sia il degno avvio di un più lungo percorso, al termine del quale l’insigne Museo Torlonia possa tornare a nuova vita in questa nostra Roma del secolo XXI.

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