La guerra al virus non si vince a colpi di demagogia

7 Marzo 2020

“Negli Stati nazionali di più antica origine e nelle democrazie più consolidate i caratteri guerreschi della competizione politica sono attenuati dalla reciproca legittimazione”

(da “L’Antipatico” di Claudio Martelli – La nave di Teseo, 2020 – pag. 121)

Si stenta francamente a credere che ad attaccare il governo per il coprifuoco adottato contro l’epidemia di coronavirus, nel tentativo di circoscrivere e contenere il contagio, sia quella stessa opposizione che fino a qualche giorno fa invocava il cosiddetto “Governissimo” o addirittura le “larghe intese”. Non tanto perché il centrodestra non abbia già dato prova ampiamente del suo opportunismo e del suo cinismo, strumentalizzando l’emergenza a fini di propaganda politica sulla pelle degli italiani. Quanto per il fatto che in questo modo, consapevolmente o meno, sta compromettendo la propria credibilità per diventare in futuro maggioranza e guidare il Paese. E così, contestando la legittimazione del governo in carica, rischia di delegittimare se stessa.

Ne è una riprova il consenso di cui, secondo l’ultimo sondaggio Ixè per Cartabianca (Rai3), gode in questa circostanza il governo Conte e in particolare il presidente del Consiglio. E, al contrario, la progressiva erosione elettorale a cui sembra sottoposta la stessa Lega di Matteo Salvini, in preda a una sindrome di demagogia e disfattismo al limite del cupio dissolvi. Le accuse rivolte all’esecutivo giallorosso, spesso pretestuose e contraddittorie, minacciano ora di ritorcersi contro un’opposizione sterile e impotente, indebolendo le sue aspirazioni o le sue velleità a candidarsi come alternativa di governo.

Siamo in guerra contro un nemico invisibile, ma aggressivo e pericoloso, come il coronavirus. Una guerra che è anche mediatica, perché si combatte a colpi di notizie e fake news, allarmi e smentite, ansie e speranze. Sarebbe quantomai opportuno, perciò, che le critiche all’azione del governo fossero misurate, responsabili, costruttive, all’insegna dell’unità come ha auspicato il presidente Mattarella nel videomessaggio alla Nazione. E invece il centrodestra gioca al tanto peggio tanto meglio, nella prospettiva illusoria di salvarsi dal contagio della psicosi collettiva per uscire come una salamandra dal fuoco incrociato delle polemiche estemporanee.

Non che il governo – beninteso – non abbia commesso qualche errore di strategia e soprattutto di comunicazione. A cominciare dalla sovraesposizione mediatica a cui s’è prestato lo stesso premier, seppure con le migliori intenzioni. Per arrivare fino al vaudeville televisivo con il cambio dei testimonial scelti – a quanto pare – direttamente da Palazzo Chigi, per gli spot socio-sanitari affidati prima alla figura più appropriata del “professor” Michele Mirabella, apprezzato divulgatore della salute sulle reti Rai, e poi a quella forse più popolare ma senz’altro meno attendibile di Amadeus, reduce dai fasti canori del Festival di Sanremo. Un piccolo e significativo esempio di quella cultura o incultura da Grande Fratello che spesso ispira la narrazione del servizio pubblico radiotelevisivo.

Ma tant’è. Tutto fa spettacolo. Perfino il coronavirus. Ecco allora la televisione di Stato che non sempre è all’altezza del suo ruolo istituzionale e pedagogico – sì, pedagogico, nel senso di informativo-educativo – contribuendo anch’essa al maxi-show quotidiano dell’epidemia, per mietere ascolti e paure e raccattare magari un po’ di pubblicità. Certo, lo fanno anche molti giornali. Ma almeno non pretendono di incassare il canone d’abbonamento.

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