Marco Travaglio

Direttore del
Fatto Quotidiano

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Chi ha paura di Conte

21 Agosto 2019

Rivedendo la nostra copertina sulla sfida all’Ok Corral e parafrasando Clint Eastwood, possiamo tranquillamente dire che quando un pistola incontra un uomo col fucile, il pistola è un uomo morto. Ieri Conte ha sottoposto Salvini al trattamento dell’asfaltatura completa, aiutato dall’ennesimo harakiri mediatico del Cazzaro Verde che si è piazzato al suo fianco sperando di spaventarlo e poi riducendosi a fargli le faccette: solo che era seduto sotto, in posizione di minorità rispetto al premier in piedi che lo prendeva a sberle dall’alto al basso, con una lezione di politica, democrazia, diritto parlamentare e costituzionale, ma anche di dignità e di stile allo scolaretto bullo e somaro. Il quale ha raddoppiato l’autogol parlando subito dopo e rendendo ancor più evidente l’abisso morale, intellettuale e dialettico che lo separa dal premier, con un discorso sgangherato, senza capo né coda: doveva almeno spiegare la crisi più pazza del mondo, invece se n’è scordato o non sapeva che dire. Meglio sbaciucchiare rosari e sacri cuori, fra gli applausi dei leghisti più pii, tipo Calderoli che si sposò col rito celtico davanti al druido.

Il confronto ravvicinato fra quei due modelli politico-antropologici crea, agli occhi degl’italiani, un nuovo bipolarismo tutto nel campo “populista”. Conte, a dispetto della doppia propaganda leghista e sinistrista, non è uomo dell’establishment né del vecchio centrosinistra. È l’interprete più apprezzato di un populismo-sovranismo dal volto umano che ottiene risultati in Italia e in Europa, diversamente da quello parolaio, inconcludente e dannoso delle destre. Perciò, oltreché per capitalizzare i sondaggi e liberarsi delle indagini, Salvini ha rovesciato il governo: Conte stava crescendo troppo per lasciargli altro campo libero da fiore all’occhiello del M5S. È lo stesso timore che anima Zingaretti e Renzi, divisi su tutto fuorché sull’ostilità a Conte, tanto comprensibile per ragioni di bottega quanto miope per gli interessi dell’Italia: se mai nascesse un governo M5S-Pd, l’unica speranza di renderlo popolare sarebbe di affidarlo all’“avvocato del popolo”. Ieri è bastato sentirlo parlare, in un dibattito parlamentare di livello infimo, per instillare in tutti una domanda spontanea: ma perché uno così deve dimettersi? E perché non lo rincorrono tutti per affidargli il nuovo governo? Se non per convinzione, almeno per convenienza, essendo Conte da mesi l’unico leader che batte Salvini nei sondaggi. Figurarsi dopo ieri. Ora il Cazzaro è al punto più basso della sua parabola politica. Solo il Pd può salvarlo. E pare che, ancora una volta, stia lavorando per lui.

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