Grillo: “L’Ilva non va chiusa ma trasformata in un parco”

La proposta lanciata ieri da Beppe Grillo di riconvertire l’Ilva di Taranto in un parco tecnologico si è tradotta immediatamente per i 13.800 lavoratori della più grande acciaieria di Europa in un assaggio delle montagne russe.
Alle 3 del pomeriggio il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio è intervenuto nella discussione sulle ipotesi di chiusura: “Voglio dare un messaggio chiaro a tutti coloro che hanno queste preoccupazioni. Qualsiasi decisione sarà presa con responsabilità e attenzione, non davanti alle telecamere”. Tre ore dopo, il fondatore del Movimento 5 Stelle si è piazzato davanti a una telecamera e ha dato la sua linea sull’Ilva: “Nessuno ha mai pensato di chiuderla”, punto scottante sul quale Di Maio non si è ancora espresso da ministro.
Ecco la proposta: “Ho sempre sognato che questo bellissimo golfo di Taranto tornasse a essere una cosa meravigliosa con tecnologie di energie rinnovabili, con centro per le batterie”. Poi l’esempio del bacino della Ruhr in Germania (oltre 4mila chilometri quadrati e 6 milioni di abitanti, 142 miniere di carbone e 1.400 chilometri di autostrade e tangenziali tra Bonn, Colonia, Düsseldorf e Leverkusen). Quell’area è stata bonificata in dieci anni, dal 1990 al 2000, e ancora oggi rappresenta “un esempio seguito da tutti gli architetti, i bio-architetti e gli ingegneri del mondo industrializzato”.
Tutto vero, ma va anche osservato che nella Ruhr la grande bonifica e riconversione (costata secondo Grillo solo 2,5 miliardi) dell’inquinatissimo distretto industriale non ha lasciato in vita una sola acciaieria. Che trasformare l’acciaieria in un parco significhi non chiuderla è un concetto difficilmente afferrabile.
Il leader della Fim Cisl Marco Bentivogli ha imbracciato il bazooka: “Verrebbe la voglia di commentare le assurde parole pronunciate da Beppe Grillo se non ci fossero in ballo 20mila posti di lavoro (indotto compreso, ndr). La questione industriale merita competenza e serietà e per questo non parteciperemo a botta e risposta gravi e comunque poco seri”.
Caustico, via Twitter, il predecessore di Di Maio Carlo Calenda, che fino a pochi giorni fa ha cercato senza successo di sbrogliare la complicata matassa dell’Ilva: “Ho visto il video di Beppe Grillo dove da terrazza su mare stile grande Gatsby delirava su riconversione in parco giochi della prima acciaieria europea che dà lavoro a 14 mila operai e mi sono venuti i brividi”.
La sortita di Grillo rende ancora più incandescente la vicenda e aumenta le difficoltà per Di Maio. I sindacati confederali dei metalmeccanici (Fiom, Fim e Uilm) hanno scritto al ministro chiedendo “un incontro urgente” per capire le intenzioni del nuovo governo. Nella lettera i sindacati ricordano la “fase delicata” in sui si trova la trattativa con la cordata Am Investco (il leader mondiale anglo-indiano ArcelorMittal e Intesa Sanpaolo) “che dal primo luglio potrebbe prendere possesso degli stabilimenti senza aver raggiunto un’intesa sindacale”.
ArcelorMittal, basandosi sugli accordi con il governo, non è disposta a prendere in carico più di diecimila lavoratori, anche con sacrifici retributivi, e gli altri 3800 dovrebbero lavorare sostanzialmente per lo Stato nelle bonifiche. La trattativa è in stallo da mesi. Se da una parte c’è chi chiede la chiusura in nome dell’ambiente e della salute, dall’altra parte chi si batte per il rilancio dell’attività siderurgica in versione “pulita” è ancora in cerca della quadratura del cerchio, come dimostra la frustrazione di Calenda. E nessuno è certo che ArcelorMittal voglia davvero andare fino in fondo. La chiusura dell’Ilva rimane sempre la soluzione preferita dai signori europei dell’acciaio, da anni alle prese con una forte sovraccapacità produttiva.