L’appello

Testamento biologico, l’allievo di don Milani: “La Sla è atroce, subito la legge sul fine vita”

La lettera dello storico sindacalista Cisl ed ex capo della Provincia di Firenze: "Non si tratta di favorire l'eutanasia, ma solo di lasciare libero l’interessato, lucido cosciente e consapevole, di essere giunto alla tappa finale, di scegliere di non essere inutilmente torturato"

2 Novembre 2017

“Sono a pregarvi di calarvi in simili drammi e contribuire ad alleviarli con l’accelerazione della legge sul testamento biologico. Scrive così Michele Gesualdi che da tre anni combatte la sua battaglia contro la sla, la sclerosi laterale amiotrofica. Una lettera scritta da un uomo “trasformato in uno scheletro rigido come fosse immerso in una colata di cemento”.

Parole che pesano, ancor di più se arrivano da una persona come Gesualdi, che in Toscana, ma non solo, ha segnato la vita politica e civile degli ultimi decenni: storico sindacalista Cisl, due volte presidente della Provincia di Firenze. Ma Gesualdi è soprattutto uno dei primi studenti di don Lorenzo Milani che tanto lo amava. Le foto in bianco e nero di oltre mezzo secolo fa li ritraggono insieme nella scuola di Barbiana. Le sue parole sono contenute in una lettera che, dopo mesi di dubbi, Gesualdi ha voluto inviare ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso: “Non si tratta di favorire l’eutanasia, ma solo di lasciare libero l’interessato, lucido cosciente e consapevole, di essere giunto alla tappa finale, di scegliere di non essere inutilmente torturato e di levare dall’angoscia i suoi familiari, che non desiderano sia tradita la volontà del loro caro”, scrive ancora Gesualdi.

Una lettera da cui traspare il travaglio di un uomo costretto a vivere in un corpo malato, ma con una coscienza sempre vivissima: “La rapida approvazione della legge sarebbe un atto di rispetto e di civiltà che non impone ma aiuta e non lascia sole tante persone e le loro famiglie. Per i malati di Sla la morte è certa, e può essere atroce se giunge per soffocamento”. Gesualdi affronta la questione da uomo che soffre, ma anche da cattolico fervente: “C’è chi sostiene che rifiutare interventi invasivi sia una offesa a Dio che ci ha donato la vita. La vita è sicuramente il più prezioso dono che Dio ci ha fatto e deve essere sempre ben vissuta e mai sprecata. Però accettare il martirio del corpo della persona malata, quando non c’è nessuna speranza né di guarigione né di miglioramento, può essere percepita come una sfida a Dio. Lui ti chiama con segnali chiarissimi e rispondiamo sfidandolo, come se si fosse più bravi di lui, martoriando il corpo della creatura che sta chiamando, pur sapendo che è un martirio senza sbocchi”. Un messaggio pubblico e insieme intimo: “Personalmente vivo questi interventi come se fosse un’inutile tortura del condannato a morte prima dell’esecuzione”.

La lettera di Gesualdi, a dieci mesi dalla morte in una clinica svizzera del dj Fabo, costringe la politica a non dimenticare la legge sul testamento biologico che rischia di naufragare con la fine della legislatura. E giunge, appunto, da una figura tanto amata e apprezzata nel mondo cattolico: “Il mio babbo – ha detto la figlia Sandra al Corriere Fiorentino – è un cattolico. Aveva scritto la lettera da mesi, ma non l’aveva spedita per paura di suscitare compassione e soprattutto per il timore di venire strumentalizzato. Per lui volontà e dignità della persona devono essere al centro di tutto. Ma la sua lettera non è un’apertura all’eutanasia”. Racconta la famiglia che Michele Gesualdi, tra mille sofferenze, era riuscito a completare la lettera a marzo. Il 20 giugno scorso l’allievo di don Milani aveva chiesto di andare ancora una volta a Barbiana in occasione della visita del Papa. Così Gesualdi e Bergoglio si erano incontrati nella cucina accanto alla scuola di don Lorenzo. Gesti per esprimere una sofferenza divenuta insostenibile e la comprensione di Francesco. Le parole erano quasi impossibili, ma per capirsi non ne hanno avuto bisogno.

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