Pd, eravamo quattro nemici al bar

2 Febbraio 2017

“Eravamo quattro nemici al bar/che volevano cambiare il mondo/destinati a qualche cosa in più/che a una donna e un impiego in banca”. Chi meglio di Gino Paoli (con piccola modifica) può schiuderci le porte della convulsa galassia Pd dopo la sconfitta al referendum e la sentenza della Consulta sull’Italicum? Chi sono e dove vogliono andare i quattro protagonisti della partita, pardon del Partito democratico? Per capirlo, ci baseremo su quattro tempi verbali di nostra produzione.

Il futuro passato: Renzi. L’ex premier era l’uomo del futuro del Pd, ma complice l’ambizione, la cattiveria (per sua stessa ammissione) e il bullismo, ha voluto bruciare le tappe (e Letta). Ed è andato a Palazzo Chigi senza passare dalle urne, con tutti i suoi sarò, farò.

Solo che gli italiani vivono nel presente, non nel futuro, e appena hanno capito che il suo domani era sempre domani tipo Totò – e si rimangiava pure quello – e gli hanno dato la possibilità di esprimersi, gli hanno urlato un bel No. Così si è rifugiato a Pontassieve, tenendosi però ben stretta la poltrona di segretario Pd, e ora che la Consulta gli ha rivoluzionato il suo Italicum, invece di dire “Scusate, ho sbagliato pure la riforma elettorale”, minaccia: “Il futuro, prima o poi, torna”.

Arieccolo, ma col maglioncino alla Marchionne: vuole andare al voto, scegliendo lui i capilista bloccati. Minoranza tiè. E lancia pure le ennesime promesse futuribili: “Anche in caso di vittoria potrei rinunciare a Palazzo Chigi”, “se torneremo al governo giù l’Irpef”. Ah ah. Di lui c’è proprio da fidarsi. Che sia ormai passato?

Il passato futuro: D’Alema. Capostipite dei rottamati, era considerato l’Ei fu del Pd. Ma il referendum gli ha dato nuova linfa: è tornato prepotente ed esilarante, copiando addirittura le battute di Grillo (il medico che porta via Orfini dicendogli “Stia tranquillo, si rilassi”, “abbiamo il dovere di correre in soccorso di un gruppo dirigente che sembra aver smarrito il senso della ragione”), e ha lanciato il suo movimento scissionista “ConSenso” da oltre il 10%.

Studi bruxellesi tiè, molto meglio tornare nella vecchia classe Pd, a cercare di far cacciare dalla scuola Franti-Renzi. Che sia il futuro?

Il gerundio: Speranza. Come il modo verbale è “indefinito”: il mattino va da D’Alema, il pomeriggio da Renzi. Insieme alla minoranza Pd festeggia la bocciatura dell’Italicum, ma non vuole “precipitare” alle urne; scissione? ma de che, “lavora per unire”.

La linea politica è sempre il solito gerundio baglioniano: “Strada facendo, vedrai…”. E uno aspetta e Spera. Ponendosi ogni volta la solita domanda in -ndo: ma ‘ndo va?

Il futuro posteriore: Emiliano. Outsider del partito, magistrato, né dalemiano, né bersaniano, né – più – renziano (s’è affrancato con le prese di posizione sul referendum sulle trivelle e sulla riforma costituzionale), buon amministratore locale, apprezzato al centro, a destra, a sinistra e pure dagli elettori grillini: tutte buone ragioni per cui non diventerà mai segretario del Pd.

Perché va sempre così: il futuro è davanti a te, lo vedi, ma sei troppo concentrato per guardarti le spalle e… zac. Nel Pd basta un attimo.

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