Se paghi di più i neoassunti, perdi i migliori. La trappola retributiva delle piccole imprese
Nelle piccole imprese la retribuzione è spesso un accordo a vista: si assume quando serve, senza pianificazione, si alza l’offerta per chi entra (per la necessità) e poi si torna a correre. Il problema è che questa scorciatoia ha un effetto collaterale prevedibile: quando un neoassunto viene pagato più dei colleghi equivalenti, chi se ne va più spesso non sono i mediocri, ma i migliori.
Una recente ricerca basata su grandi database HR mostra che l’arrivo di un nuovo assunto pagato sopra i livelli interni aumenta il rischio di dimissioni e si concentra sulle persone di maggior valore. Il dato più interessante per le piccole imprese è questo: a uscire non sono i meno produttivi, ma le persone con le performance migliori. Per una PMI è un danno diretto, perché l’high performer è spesso una figura chiave: regge i clienti importanti, conosce i processi, risolve i problemi quotidiani e tiene in piedi l’operatività quando il titolare è impegnato altrove.
Il problema non è solo economico. È soprattutto simbolico. Se per anni gli stipendi interni restano fermi e poi si trova il budget solo per assumere, passa un messaggio chiaro: il valore viene riconosciuto più a chi arriva da fuori che a chi contribuisce ogni giorno. Anche senza conoscere le buste paga, le persone percepiscono l’ingiustizia, confrontano offerte, ascoltano il mercato e iniziano a guardarsi intorno.
La stessa ricerca evidenzia un punto pratico fondamentale: conta il tempo di reazione. Se l’azienda interviene rapidamente per riallineare le retribuzioni di chi è già in organico e svolge lo stesso ruolo, il rischio di dimissioni si riduce in modo significativo. Se invece l’aggiustamento arriva tardi, o non arriva affatto, le dimissioni diventano probabili. Nelle piccole imprese questo significa una cosa semplice: quando paghi il mercato per entrare, devi mettere in sicurezza l’equità interna subito.
Le PMI hanno però un vantaggio rispetto alle grandi organizzazioni: possono decidere in fretta. Il primo errore da evitare è considerare l’assunzione come un costo isolato. Se per prendere una competenza devi offrire più di quanto paghi internamente, devi prevedere fin da subito un riallineamento per le persone equivalenti che performano bene. Il costo è quasi sempre inferiore a quello del turnover, che comprende selezione, affiancamento, errori iniziali, tempo perso e clienti scontenti.
Un esempio semplice. Un tecnico esperto prende 1.500 euro netti. Ne assumi uno nuovo a 1.650 perché altrimenti non accetta. Se lasci tutto com’è, il tecnico storico non vede solo 150 euro. Vede che la sua esperienza vale meno della tua urgenza. E se va via, tu perdi mesi di lavoro e stabilità. In questo caso il riallineamento non è un premio, è una misura di protezione.
Alcune imprese hanno adottato aumenti mirati per trattenere ruoli critici, una logica spesso chiamata pay to stay. Non significa aumenti a pioggia, ma interventi selettivi sulle persone che, uscendo, bloccano l’azienda. Per una PMI vuol dire individuare poche posizioni senza sostituti rapidi e mantenerle coerenti con il mercato.
Il secondo passaggio è darsi regole semplici e spiegabili. Per i ruoli chiave serve una fascia retributiva credibile e un controllo periodico. Se esistono differenze, devono avere motivazioni chiare, come competenze specifiche, responsabilità, turni o risultati. Se non sai spiegarle, sono differenze arbitrarie e nelle piccole imprese le differenze arbitrarie si pagano subito.
Il tema diventerà sempre più visibile, anche per effetto delle nuove regole europee sulla trasparenza retributiva, che spingeranno il mercato verso maggiore chiarezza e confronto.
La conclusione è pratica. Se devi pagare il mercato per assumere, fai bene. Ma non farlo contro la tua squadra. Fallo insieme a una verifica immediata delle persone chiave e a riallineamenti tempestivi. Le piccole imprese vivono di fiducia e competenze tacite.
Se le rompi per chiudere una selezione, hai risolto un problema e ne hai creati due.