Una finanziaria di guerra che lascia indietro sanità e diritti. Come medici, ci saremmo aspettati altro
La Legge di Bilancio 2026-2028 prevede per la sanità pubblica sempre meno risorse. Il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard salirà sì di 2,38 miliardi che si aggiungono alle risorse previste dalla precedente manovra, per un totale di oltre 6 miliardi ma sarà comunque troppo poco se si considera che la percentuale del Fondo Sanitario nazionale sul Pil si attesta al 6,5%, la più bassa d’Europa. Gimbe stima meno 13 miliardi reali per la sanità, dato confermato dal fatto che 5 milioni di italiani rinunciano alle cure e che le famiglie hanno sborsato di tasca propria 41,3 miliardi per curarsi e di queste solo il 17% si avvale di coperture assicurative sanitarie. La prevenzione è quasi del tutto saltata, lasciata alla capienza economica di Regioni e Asl e gli effetti li vedremo tra qualche anno in termini di aumento di incidenza di malattie prevenibili come i tumori.
L’ultima legge di Bilancio aumenta il tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati per ulteriori B che, sommati agli aumenti degli anni precedenti, determinano un aumento complessivo dell’1%. E’ evidente il flusso corposo di risorse pubbliche destinate alla sanità privata. I dati Istat offrono un’ulteriore documentazione: la spesa per le “prestazioni sociali in natura da privati”, comprendenti acquisti da operatori privati accreditati di prestazioni e servizi di varia natura, è stata nel 2023 di 28 miliardi di euro, nel 2024 di 28,7 miliardi. Nel complesso si è trattato di più di un quinto del totale della spesa sanitaria del 2023 e del 2024.
La sanità privata in generale è un’impresa che eroga prestazioni a bassa complessità, ma ad elevato costo e quindi ad elevato guadagno. Nella mia pluridecennale attività di medico di Medicina generale, che opera, in un quartiere della periferia romana, non ho mai visto un paziente complicato che sia stato preso in carico da una struttura privata o privata accreditata – a meno che non si disponga di ottime possibilità finanziarie – a cui lo stesso si era rivolto per effettuare esami di diagnostica, screening e valutazioni specialistiche. Quando ci sono stati problemi, di quelli seri, è stato rinviato alla struttura pubblica. Struttura pubblica che si fa carico del paziente e gli somministra cure costosissime se necessitano e che non si pone il problema di quanto può costare un intervento complicato, purché si tuteli la vita e la salute di quell’individuo.
Quando si parla di educazione sanitaria nelle scuole, bisognerebbe parlare di questo: del Servizio Sanitario Nazionale pubblico che cura a prescindere dalla ricchezza personale, dal ceto sociale, dalla religione professata, dal credo politico, dalla razza, dalla nazionalità. Cura semplicemente per rispondere ad un bisogno, semplice o complesso che sia.
Il Servizio Sanitario Nazionale che, ripeto, cura tutti , ma proprio tutti è finanziato dalla fiscalità generale. Peccato che, nel nostro paese, solo il 45% degli italiani pagano le tasse e di questi solo 6,4 milioni dichiarano redditi superiori ai 35.000 euro e sono coloro che determinano il 63,4% del gettito fiscale introitato dallo Stato. Il 55% non paga o perché non ha redditi o perché non li dichiara e spesso è anche favorito da provvedimenti legislativi ad hoc. Nel nostro paese l’evasione fiscale, secondo il Ministero dell’Economia, ammonta a 100 miliardi di euro l’anno.
Ed è chiaro che un sistemo così iniquo non può che favorire disparità anche nell’accesso alle cure e difficoltà nel finanziare un sistema di salute pubblica che è un asset strategico per la vita democratica di un paese.
Il valore più profondo, la filosofia che sottende alla genesi del Servizio sanitario, uguaglianza di fronte alla malattia, si è persa di governo in governo, destra o sinistra senza differenza alcuna, di finanziaria in finanziaria, e l’autonomia differenziata, il cui percorso è principiato con il governo Berlusconi nel 2009 e puntellato poi da vari governi di sinistra a partire da quello Gentiloni, stigmatizza, per Costituzione, una profonda disparità territoriale in tema di sanità. E’ inaccettabile che nel nostro paese il luogo di nascita possa fare la differenza tra la vita e la morte, la salute e la malattia.
I provvedimenti previsti nella manovra 2026 ignorano del tutto la sanità territoriale che, nell’immaginario dei nostri governanti, dovrebbe fare da barriera alla domanda di prestazioni ospedaliere la cui offerta si è contratta, non perché il territorio non fa da filtro, ma per il taglio di posti letto e il blocco all’ assunzione di personale.
Il Disegno di Legge di Bilancio 2026-2028 è disastroso per il SSN e per i professionisti. La carenza di personale medico è un’emergenza senza precedenti in Italia: sono circa 35.000 i medici mancanti nel Servizio Pubblico e 65.000 infermieri in meno rispetto al fabbisogno. Ed ogni medico, ogni infermiere in meno è un servizio negato al cittadino.
Ci saremmo aspettati, in questa finanziaria, come promesso durante la pandemia da Covid, un massiccio piano straordinario di assunzioni e misure atte a favorire il ricambio generazionale, considerata l’età avanzata di medici ed infermieri in servizio. Ci saremmo aspettati un aumento di risorse ed il riconoscimento dell’impegno del personale sanitario, motore del sistema, con un miglioramento dei salari e garanzie di condizioni dignitose di lavoro che avrebbero posto le basi per una sanità più giusta.
Invece è stata varata una finanziaria di guerra che promette austerità e sacrifici per tutti mentre l’Italia potrebbe arrivare a raddoppiare i suoi investimenti in armi entro fine 2027. Soldi sottratti alla sanità, alla scuola, al welfare, senza che si levi una chiara voce di dissenso.
Non è questa l’Italia che vogliamo. Non è questa l’Italia che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli e ai nostri nipoti.