Il disarmo di Hezbollah completato solo nel sud del Libano. Sforata la deadline Usa: il Partito di Dio ha ancora il suo arsenale a nord del Litani
La fine dell’anno si avvicina e così anche l’impossibile scadenza avanzata dagli Stati Uniti per il disarmo del gruppo armato e partito politico Hezbollah, in Libano. Da mesi il Paese vive in uno stato né di guerra né di pace ed è oggetto di crescenti pressioni da parte di Washington e, in maniera diretta attraverso l’escalation di bombardamenti, da parte di Israele. Per analizzare lo stato del disarmo bisogna prendere in considerazione diversi fattori, tra cui l’accordo di cessate il fuoco raggiunto tra Libano e Israele a fine novembre 2024 per mettere fine agli attacchi contenuti inizialmente perlopiù nel sud del Libano e alla successiva escalation israeliana su larga scala.
“L’accordo di cessate il fuoco è vago e ciascuna delle parti lo interpreta a proprio vantaggio”, ha detto Ali Rikz, analista di sicurezza di base a Beirut. L’accordo prevede che le autorità statali libanesi siano le uniche forze armate, e il conseguente disarmo di tutte le fazioni non statali, in linea con la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a partire dal sud del fiume Litani. Il tutto accompagnato da un maggiore schieramento dell’esercito libanese nella zona di confine.
Israele, invece, avrebbe dovuto sospendere qualsiasi operazione militare offensiva via terra, aria o mare, contro obiettivi libanesi, inclusi civili, militari o altri obiettivi statali e ritirarsi gradualmente dietro la Linea Blu di demarcazione entro 60 giorni, liberando le aree attualmente ancora occupate all’interno del territorio libanese. Parallelamente al cessate il fuoco, sotto la presidenza di Joseph Aoun, il nuovo governo libanese del primo ministro Nawaf Salam si è impegnato pubblicamente per la prima volta a portare il monopolio delle armi sotto il controllo dello Stato. Ma “il processo di disarmo di Hezbollah è una questione altamente complessa, con molteplici fattori interdipendenti in gioco”, ha sottolineato l’analista geopolitica e di sicurezza Dina Arakji.
Il disarmo a sud del fiume Litani
Secondo diverse fonti, il disarmo del gruppo armato a sud del fiume Litani, ovvero l’area più vicina alla linea di demarcazione con Israele, può dirsi completo. “A sud del Litani, Hezbollah ha collaborato pienamente”, ha affermato l’ex generale delle Forze armate libanesi e coordinatore del governo presso l’UNIFIL, Mounir Shehade. “Abbiamo aiutato l’esercito libanese a ridistribuirsi in quasi 130 postazioni permanenti e abbiamo scoperto più di 360 depositi illegali di armi e altre infrastrutture”, ha detto la portavoce dell’UNIFIL Kandice Ardiel.
“L’esercito libanese ha distrutto l’arsenale, compresi razzi Katyusha, missili Kornet, droni, artiglieria, razzi Burkan e armi individuali”, ha spiegato Shehade. Secondo Arakji ci possono essere molteplici ragioni per spiegare la decisione di distruggere le armi. “Principalmente si tratta di una questione di interoperabilità, dato che la maggior parte delle armi dell’esercito libanese è di origine statunitense, in linea con le norme operative occidentali e gli standard di interoperabilità”, ha osservato l’analista. Eppure, “la decisione di distruggere le armi appare illogica e si ritiene che sia influenzata da direttive statunitensi e israeliane”, ha affermato Hicham Jaber, ex maggiore generale delle Forze armate libanesi ed esperto militare. Ex generali ed analisti hanno sottolineato come all’esercito non sia consentito conservare armi che potrebbero rappresentare una minaccia per Israele.
Allo stesso modo, anche l’ipotesi di una futura integrazione dei combattenti nell’esercito libanese è una via impraticabile. Ammesso di riuscire a trovare una soluzione per mantenere l’equilibrio confessionale all’interno dei ranghi, secondo gli esperti la dimensione ideologica è il vero elemento critico. “Verrebbe introdotta una dottrina fermamente anti-israeliana all’interno dell’esercito”, ha affermato Rikz. Nel corso dell’ultimo anno, e con maggiore intensità nell’ultimo periodo, Israele ha continuato a bombardare il Libano conducendo raid quasi quotidiani a sud e a nord del fiume Litani, compresa la periferia meridionale di Beirut. Israele sostiene di rispettare i termini del cessate il fuoco e di prendere di mira le infrastrutture e i combattenti di Hezbollah per impedire al gruppo di riarmarsi.
Questa versione non coincide, però, con quanto affermato dalle forze sul campo. “Non abbiamo osservato alcuna nuova infrastruttura illegale o tentativo di ricostruzione all’interno della nostra area operativa nel sud del Libano”, ha sottolineato la portavoce dell’UNIFIL. Nella zona di intervento, le forze di pace della missione UNIFIL continuano a monitorare in maniera imparziale quello che accade e operano in condizioni difficili. “La presenza di soldati israeliani in territorio libanese impedisce la nostra piena libertà di movimento e il completo dispiegamento dell’esercito libanese”, ha aggiunto.
Solo qualche settimana fa l’ultimo episodio in cui alcuni soldati dell’esercito israeliano in un carro armato Merkava hanno aperto il fuoco contro le forze di pace che stavano pattugliando regolarmente una zona della loro area di intervento, nonostante l’esercito israeliano venga informato del luogo e l’orario del pattugliamento in zona sensibili. L’UNIFIL ha riportato che oltre 10 mila violazioni aeree e terrestri sono state commesse negli ultimi dodici mesi e secondo il dipartimento delle Nazioni Unite che si occupa di diritti umani, sono almeno 127 i civili uccisi dagli attacchi israeliani dall’inizio del cessate il fuoco.
Il disarmo nel resto del Paese
Per Arakji gli asset sequestrati dall’esercito libanese a sud potrebbero avere un valore operativo limitato e rappresentare risorse già esposte o non fondamentali per il gruppo. Come sottolineato dall’analista Rikz, il disarmo di Hezbollah a nord del Litani è invece tutt’altra storia. Sul campo infatti il disarmo è da intendersi a due velocità. “Hezbollah detiene ancora armi, compresi droni e missili, nel nord del Litani, nella valle della Beqaa e in altre regioni”, ha spiegato l’ex maggiore generale Jaber. “Armi considerate strategiche”, ha aggiunto l’ex generale Shehade. “La resistenza ha più volte affermato che questo arsenale si trova nei depositi e nei tunnel Imad 1, Imad 2 e Imad 3 e include razzi balistici, razzi a lungo raggio e missili di precisione”.
Nonostante l’esercito libanese si prepari alla seconda fase del disarmo che va dal fiume Litani al fiume Awali più a nord, Hezbollah ritiene che le armi a nord del fiume Litani non siano oggetto dell’accordo di cessate il fuoco, ma più una questione di carattere nazionale interna al Paese, parte di una più ampia strategia di difesa. Secondo una fonte interna al gruppo, qualsiasi discussione sul futuro delle armi rimane subordinata al ritiro completo di Israele dal territorio libanese, alla fine delle violazioni del cessate il fuoco e alle garanzie sulla sicurezza nazionale. “Qualsiasi transizione futura deve avvenire in un quadro che rafforzi il ruolo dello Stato, piuttosto che lasciarlo esposto alle minacce”, ha affermato la fonte.
Opinione diffusa anche tra alcuni abitanti del Libano meridionale. “Siamo dalla parte dello Stato, non contro, ma se Israele continua a bombardare ed occupare la nostra terra non possiamo essere d’accordo sul disarmo”, ha spiegato Zaher Farhat, ottantenne imprenditore di Nabatiyeh. “La resistenza non è stata privata delle sue capacità, né lo sarà, fintanto che non saranno soddisfatte le condizioni per la protezione nazionale”, ha aggiunto la fonte. “Solo quando sarà raggiunto il ritiro completo di Israele, ci saranno garanzie internazionali autentiche e lo Stato sarà in grado di proteggere i propri confini attraverso l’esercito, la discussione sul futuro delle armi potrà diventare parte di una visione di ampio spettro, piuttosto che un passo isolato”, ha concluso.
Ma l’esercito libanese continua a dipendere fortemente dall’assistenza di altri paesi in materia di sicurezza, in particolare dagli Stati Uniti. “Date le persistenti limitazioni delle risorse e il budget limitato per la difesa, le Forze armate libanesi utilizzano l’assistenza straniera per garantire le capacità operative di base”, ha spiegato Arakji. Come sintetizzato dall’analista, Israele interpreta l’accordo di cessate il fuoco come un’autorizzazione a condurre attacchi contro siti legati a Hezbollah e altre infrastrutture ritenute una minaccia e continua a chiedere il completo disarmo del gruppo. Contemporaneamente, i continui bombardamenti israeliani in Libano sono utilizzati da Hezbollah per giustificare l’obiettivo di detenere le armi. “Una dinamica che alimenta un circolo vizioso che potrebbe portare a una nuova escalation”, ha osservato.
Altri fattori di complessità
In questo sfaccettato scenario lo Stato libanese è l’attore più debole: soggetto a pressioni esterne e impegnato a mantenere l’equilibrio interno. “I crescenti attacchi israeliani minano la posizione del governo libanese e qualsiasi tentativo di disarmare Hezbollah con la forza sarebbe disastroso”, ha affermato Rikz. Tra gli altri fattori che contribuiscono alla complessità della questione c’è poi lo speciale rapporto tra Iran e Hezbollah che sostiene la resilienza del gruppo e l’ampio sostegno della comunità sciita, storicamente marginalizzata. “Tale sostegno potrebbe estendersi agli sciiti in Siria spaventati dall’ascesa di un nuovo regime salafita-jihadista”, ha aggiunto Rikz.
In questo contesto, gli abitanti del Libano meridionale si dividono tra chi ripone le speranze nel disarmo come strada verso una pace regionale duratura, aspettandosi che lo Stato libanese affermi finalmente la sua piena autorità in una regione bisognosa di garanzie e che da tempo si percepisce come emarginata, mentre per altri l’arsenale di Hezbollah è visto come il principale deterrente contro Israele. “L’unica soluzione possibile è che gli Stati Uniti facciano pressione su Israele affinché si ritiri dai territori occupati e fermi la sua escalation. Se il Libano rimarrà incapace di risolvere la questione delle armi della resistenza c’è una reale possibilità che la guerra possa riprendere”, ha concluso l’ex generale Shehade.