Tommaso è un ricercatore in storia. O meglio, era. Perché dopo due anni di dottorato e un anno e mezzo di assegno di ricerca, da sei mesi è rimasto a casa. “Siamo diecimila precari in tutta Italia ad aver perso il lavoro” racconta a ilfattoquotidiano.it parlando de “la più grande espulsione di massa nella storia dell’università italiana”. I dati raccolti dall’assemblea precaria universitaria di Torino sono allarmanti. “Da marzo ad oggi l’Ateneo torinese ha perso 360 posizioni post doc passando da 1083 a 737” racconta Eleonora. Una riduzione di circa un terzo. Non se la passa meglio il Politecnico. “Qui gli assegnisti di ricerca sono diminuiti del 40 per cento” spiega Leonardo.
Le proiezioni a livello nazionale parlano di una “contrazione tra il 70 e l’80 per cento di queste figure entro il 2026”. Eppure queste figure sono fondamentali nella vita dell’università. “Senza di noi, l’ateneo si ferma” si legge nello striscione che i precari hanno appeso di fronte al Rettorato degli Studi di Torino: “Siamo quelli che vincono i bandi, che portano i finanziamenti europei e siamo noi ad andare in aula a fare le lezioni” racconta Eleonora, assegnista di ricerca, citando una stima di qualche anno fa secondo la quale il 40 per cento delle lezioni veniva svolta proprio dai ricercatori. “Non abbiamo ferie, malattia, tredicesima e siamo a scadenza – racconta un altro ricercatore – e alterniamo periodi dove abbiamo l’assegno di ricerca a periodi di disoccupazione dove dobbiamo tirare la cinghia cercando il prossimo lavoro oscillando tra l’Italia e l’estero”. In queste condizioni “è impossibile fare ricerca in maniera tranquilla, non si crea continuità nei progetti di ricerca nè nella didattica e la situazione si ripercuote sulla qualità che viene offerta agli studenti e anche sulle nostre vite”.
Ma perché accade tutto questo? “A causa delle politiche di bilancio di questo governo che destina oltre 30 miliardi di euro alla difesa e 9 miliardi all’università – commenta uno dei ricercatori che fa parte dell’Assemblea Precaria Universitaria di Torino – e l’università è in una situazione di definanziamento rispetto agli altri Paesi europei”. Ma il tema della guerra sembrerebbe influenzare anche le scelte di finanziamento dentro la stessa università. “Tanti contratti vengono dirottati su ricerche su tematiche legate al riarmo e all’indiustria bellica – conclude Eleonora – dunque molte persone si trovano costrette all’ignobile scelta tra non lavorare o lavorare per la guerra”