Tether sotto accusa in Svezia: indagine per frode fiscale su una miniera di Bitcoin
Conflitto di interessi è un termine che non compare nel dizionario di Tether, il colosso cripto delle stablecoin che gestisce somme di clienti per 186 miliardi di dollari. Ma secondo il Financial Times è invece una pratica usata da Giancarlo Devasini e Paolo Ardoino, che gestiscono Tether come fondatore maggior azionista e direttore finanziario il primo e amministratore delegato il secondo, i due miliardari italiani che intendono comprare la Juventus dalla Exor di John Elkann. Secondo Ft, Devasini e Ardoino usano l’impresa cripto con sede in Salvador come se fosse tutta e solo roba loro: nei giorni scorsi Devasini, terzo uomo più ricco d’Italia con 22,4 miliardi di dollari, e Ardoino, quinto nella classifica nazionale dei Paperoni con 9,5 miliardi, hanno venduto un ramo dell’azienda tedesca Northern Data, controllata dalla stessa Tether, ad altre aziende di loro diretta proprietà. Il tutto mentre Northern Data è coinvolta in una inchiesta in Svezia per una presunta frode fiscale da 100 milioni di dollari ai danni del Fisco di Stoccolma.
Ft rivela che Tether, proprietaria della quota di maggioranza dell’operatore tedesco di data center di intelligenza artificiale Northern Data, a novembre aveva annunciato di aver venduto per 200 milioni di dollari la sua divisione di “estrazione” del bitcoin, Peak Mining, ad aziende sconosciute. Ma il quotidiano è riuscito a identificare gli acquirenti di Peak Mining: si tratta di Highland Group Mining Inc, di Appalachian Energy Llc e della canadese 2750418 Alberta Ulc. Il passo successivo è stato scoprire chi siano i proprietari di queste tre società. Secondo un documento depositato nelle Isole Vergini Britanniche (vecchia sede di Tether prima del “trasloco” in Salvador) gli amministratori di Highland Group sono gli stessi Ardoino e Devasini, che è anche l’amministratore unico della società con sede in Canada. Non è invece ancora chiaro chi gestisca Appalachian Energy, con sede nel Delaware.
L’operazione, spiega il quotidiano economico-finanziario, dà una idea del groviglio di interessi nella gestione di Tether: con una mano Devasini e Ardoino dovrebbero gestire il gruppo della stablecoin nell’interesse di tutti gli azionisti, compresi di quelli di minoranza, ma con l’altra fanno affari per conto proprio tramite le aziende dello stesso gruppo cripto. Non un bel segnale di trasparenza nei confronti del mercato e di possibili investitori terzi, ammesso che Tether possa trovarne. D’altronde anche l’assenza di bilanci pubblici e certificati da un revisore, i segreti sulla governance e sugli azionisti dell’azienda come pure il trasferimento della sede in Salvador dalle Isole Vergini Britanniche non testimoniano a favore della disclosure.
Ma dietro questa operazione si nasconde un’altra pista. È di inizio novembre infatti la notizia che, subito dopo aver venduto alle tre aziende allora sconosciute Peak Mining, Northern Data aveva avviato il processo di fusione con Rumble, altra società del gruppo Tether, in un accordo del valore di 967 milioni di dollari. Nell’accordo è previsto che Rumble acquisisca anche il prestito azionario di Northern Data di circa 610 milioni di euro (705 milioni di dollari) che la società tedesca deve a Tether, metà del quale sarà convertito in azioni Rumble e metà invece rifinanziato tramite un nuovo prestito garantito da Tether. Questa girandola di fusioni e operazioni di cessione e acquisizione in capo sempre alle stesse persone avrà come conclusione solo quella di fare scomparire Northern Data come società autonoma. Molti investitori si sono chiesti il perché di tutta la fretta dietro queste operazioni.
La risposta, forse, arriva da una indagine congiunta delle polizie di Germania e Svezia, coordinata dalla Procura europea contro le frodi alla Ue (Eppo) emersa all’onore delle cronache solo a inizio ottobre, prima di tutta questa accelerazione finanziaria. A fine settembre investigatori europei hanno fatto irruzione negli uffici di Northern Data, all’epoca impegnato a trasformarsi da azienda attiva nel mining del bitcoin a impresa di intelligenza artificiale. La polizia criminale federale tedesca ha effettuato sequestri negli uffici di Northern Data a Francoforte, mentre l’autorità svedese per la criminalità economica e gli investigatori del Fisco di Stoccolma hanno fatto visita alla sede di Northern Data a Boden, in Svezia. Gli inquirenti stanno indagando su una possibile frode fiscale di Peak Mining, all’epoca controllata da Northern Data, nel suo data center di Boden. Oltre alle perquisizioni, sono scattati quattro arresti in quella che gli inquirenti svedesi hanno definito a Bloomberg “un’indagine su una frode Iva su larga scala”, aggiungendo che stimano che l’evasione fiscale di Peak Mining ammontasse a oltre 100 milioni di euro.
Secondo Bloomberg, all’origine dell’indagine delle autorità europee su Northern Data per presunte frodi fiscali c’è l’acquisto di 10.000 chip di elaborazione grafica ad alte prestazioni Gpu H100, prodotti da Nvidia, per un valore di 568 milioni di dollari. L’indagine penale mira a determinare se Peak Mining e Norther Data abbiano usato le Gpu e il data center svedese di Boden per il mining di criptovalute anziché per attività di elaborazione dati legate all’intelligenza artificiale. La contestazione di evasione dell’Iva per 100 milioni di euro sarebbe legata al fatto che la Svezia incoraggia lo sviluppo di aziende di intelligenza artificiale concedendo un’agevolazione fiscale piuttosto consistente per gli acquisti di chip destinati all’elaborazione dati basata sull’intelligenza artificiale, ma non nel caso di utilizzo delle Gpu per il mining di criptovalute. Le aziende coinvolte e Tether smentiscono ogni frode.
Non sarebbe però la prima volta che la carriera di Devasini si interseca con indagini legate a reati informatici e frodi fiscali. Come svelato dal Fatto, l’ex chirurgo plastico nel 1995 fu accusato di pirateria informatica ai danni di Microsoft e patteggiò una multa di 100 milioni di lire dell’epoca con la Procura di Milano. Il Fatto ha poi scoperto che a inizio anni 2000 un’azienda gestita da Devasini a Montecarlo faceva affari con l’allora “re” europeo delle frodi carosello sull’Iva sui prodotti informatici, il gangster olandese di origini italo-spagnole Gennaro “Rino” Platone, che all’epoca era uno degli uomini più ricchi dei Paesi Bassi con un giro di affari di 500 milioni di euro l’anno. Platone, poi condannato per questi reati in Spagna e Germania, è stato scarcerato nei mesi scorsi ma gli inquirenti europei lo considerano legato alla camorra. Anche un altro dei fondatori di Tether, l’olandese Jean Louis van der Velde, era in affari con il gruppo Yuraku, azienda asiatica di proprietà di Platone attiva nella produzione di pannelli fotovoltaici, per la quale aveva fondato la succursale negli Usa. Vicende sulle quali tre anni fa il Fatto ha presentato una serie di domande a Devasini e a Tether, senza mai ottenere alcuna risposta.