Il ddl Delrio prende una china pericolosa: così il ‘panico morale’ contrasta ciò che è percepito come minaccia
Tempo fa il licenziamento di Gabriele Nunziati per una domanda su Gaza aveva rinfocolato il dibattito su libertà di parola e antisemitismo. Da qualche settimana la questione è tornata ancora una volta d’attualità per il disegno di legge Delrio, che pretende di asserire in sostanza che chi critica Israele è tout court antisemita. Una china assai discutibile e pericolosa che l’ottimo Guerra all’antisemitismo?, uscito nel 2024 per Altreconomia e scritto dalla sociologa Donatella Della Porta, aveva analizzato con riferimento al contesto tedesco.
Un libro prezioso, che torna ahinoi utile tantopiù dopo le tragiche immagini di Sydney, sullo sfruttamento di quello che l’autrice – sulla scorta di un saggio di Stanley Cohen pubblicato nel 1972 – definisce ‘panico morale’, quando – scrive Cohen – qualcosa viene definito come “una minaccia ai valori e agli interessi della società”. La natura di queste minacce viene presentata “in modo stilizzato e stereotipato dai mezzi di comunicazione di massa”, e le barricate morali che ne conseguono “sono presidiate da editori, vescovi, politici e altri benpensanti”. I presunti autori di queste minacce vengono bollati come folk devils (che potremmo tradurre come ‘nemici della società’), devianti che attentano a un interesse pubblico.
Della Porta spiega come questo interesse pubblico in Germania sia rappresentato dalla difesa di Israele. Tutto ciò che sembra minacciare Israele, ma soprattutto tutto ciò che rischia di mettere in questione l’immagine dell’impegno tedesco contro l’antisemitismo e la difesa dello Stato israeliano deve essere circoscritto, contrastato, censurato, espunto. Della Porta elenca una serie notevole di casi in cui intellettuali, scrittori, giornalisti, ricercatori hanno subito forme di ostracismo, censura, stigmatizzazione da parte dell’opinione pubblica, ma anche provvedimenti di natura amministrativa volti a impedire che tenessero conferenze, corsi, lezioni.
Masha Gessen, una parte della cui famiglia fu vittima della Shoah, si è vista annullare la cerimonia di conferimento del premio Hannah Arendt; Ghassan Hage è stato licenziato dal Max Planck Institute; a Moshe Zuckerman, figlio di un sopravvissuto alla Shoah, non è stato permesso di partecipare a un conferenza a Heilbronn. E si potrebbe continuare. Quello che il libro segnala è l’uso, nel caso tedesco, del panico morale per non intralciare il processo di guiltwashing, ovvero di camuffamento degli altri orrori dell’Occidente e della Germania (responsabile in Namibia del primo genocidio del XX secolo) attraverso l’elaborazione della colpa per la Shoah, descritta come un evento unico e irripetibile (vietato parlare di genocidio a Gaza).
Della Porta getta quindi una luce sul concetto di ‘nuovo antisemitismo’, etichetta che trasforma le critiche a Israele in opinioni razziste fondata perlopiù sulla working definition dell’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra). Tale definizione pone un legame troppo stretto tra antisemitismo e antisionismo, rischiando di sovrapporli. Un esito che le proposte Gasparri e Delrio reiterano. In Germania (e non solo) l’accusa di (nuovo) antisemitismo viene rivolta sostanzialmente alla sinistra (e a molti ebrei critici nei confronti di Israele). L’equazione così risulta: propal=antisemiti; ma Della Porta segnala che lì la stragrande maggioranza dei reati a sfondo razzista-antisemita è ufficialmente riconosciuto come proveniente da destra. Così l’equazione dovrebbe essere: pro-Israele=antisemiti.
Non inganni la saldatura solo apparentemente paradossale tra estrema destra e filosemitismo: essa infatti si struttura attorno alla comune lotta contro la ‘barbarie islamista’. Per AfD “la civiltà giudeo-cristiana è chiamata a mobilitarsi in una crociata contro l’Islam”. Si tratta dello stesso meccanismo all’opera in Italia, dove la destra cerca di bonificare il passato fascista – e spesso il presente neofascista – con la difesa di Israele, tentando di scaricare l’antisemitismo sulla sinistra. Anche qui destra ed estrema destra sono paradossalmente filo-sioniste per una presa di posizione che ha a che fare con il loro posizionamento geopolitico e ideologico (oltre che con il guiltwashing).
Israele è visto come un baluardo contro i movimenti anticolonialisti e un presidio di difesa dell’ordine politico occidentale, nonché la parte per la quale l’estrema destra parteggia nello ‘scontro di civiltà’ tra valori occidentali, mondo arabo-musulmano, immigrazione.