Altro che investimenti etici: ecco come alcuni fondi sostenibili europei finanziavano l’industria delle armi
Immaginate di investire i vostri risparmi in un fondo etico, convinti di contribuire a un futuro più verde, alla transizione energetica e al rispetto dei diritti umani. Scegliete quel prodotto finanziario proprio perché i gestori vi garantiscono che esclude settori controversi in contrasto con i vostri valori pacifisti. Salvo scoprire che parte del vostro denaro finisce a finanziare produttori di droni da combattimento, missili a lungo raggio o componenti per bombe usate attivamente in zone di guerra, come Gaza. Una clamorosa inchiesta internazionale, coordinata da VoxEUROPE e pubblicata da El País in Spagna, IRPI Media in Italia e Mediapart in Francia, documenta per la prima volta in modo sistematico come la Commissione europea abbia reso compatibile il settore della difesa e la finanza sostenibile.
L’indagine si basa sull’analisi incrociata di 3.037 fondi ESG, quelli venduti come ‘sostenibili’; dataset finanziari forniti dal London Stock Exchange Group; documenti interni dell’UE ottenuti tramite richieste di accesso agli atti e interviste a esperti del settore. Il cuore del meccanismo che ha permesso questo “sdoganamento” è il Regolamento europeo sulla trasparenza della finanza sostenibile (SFDR), entrato in vigore nel 2021. Progettato originariamente per orientare i capitali verso attività ecologicamente responsabili, il regolamento è rimasto volutamente “neutrale” sui settori economici ammissibili.
Questo vuoto normativo ha creato un varco sfruttato, come dimostra l’inchiesta, dalla lobby ASD (Associazione europea per l’aerospazio, la sicurezza e la difesa). Già nell’ottobre 2021, l’ASD diffondeva documenti interni che promuovevano lo slogan “Non c’è sostenibilità senza sicurezza”, dando il via a una campagna di pressione e incontri a porte chiuse su alti funzionari della Commissione. Risultato: l’esclusione delle armi convenzionali dalle “controindicazioni principali”. Di fatto, il regolatore ha stabilito che solo le armi esplicitamente bandite dalle convenzioni internazionali, come le mine antipersona, le munizioni a grappolo e le armi chimiche o biologiche, siano da escludere da un investimento etico. Tutto il resto, carri armati, droni armati, caccia, sistemi missilistici, è stato ‘riabilitato’, e i gestori di quei fondi hanno potuto includerlo senza doverne giustificare, o comunicare, l’impatto negativo.
L’invasione russa dell’Ucraina, nel febbraio 2022, ha fornito il pretesto geopolitico perfetto per accelerare questa normalizzazione. La Commissione ha emanato una serie di comunicazioni che invitavano a mobilitare fondi privati per la difesa, dichiarandola pienamente compatibile con gli obiettivi ESG, fino a riconoscerla ufficialmente come settore “strategico” nel 2023. Questo percorso di legittimazione è culminato nella revisione dell’SFDR del novembre 2025 e nel Forum sugli investimenti industriali nel settore della difesa dell’Ue, dalla Commissione il 27 novembre 2024 a Bruxelles. Nelle slides, ottenute in esclusiva, relatori istituzionali di alto profilo come Anne Fort, vice capo di gabinetto del commissario alla Difesa Andrius Kubilius, dichiara che “il quadro finanziario sostenibile dell’Ue non impone alcuna limitazione al finanziamento del settore della difesa”e Joanna Sikora-Wittnebel, Responsabile della finanza sostenibile alla Direzione Generale per la Stabilità finanziaria, che l’ “Sfdr è neutrale dal punto di vista settoriale” .
Anche grazie a questo sdoganamento, tra il 2021 e il 2025 gli investimenti in azioni di 118 società del comparto difesa da parte di fondi “verdi” sono passati da 14,5 a 49,8 miliardi di euro. Circa 25 miliardi sono finiti nelle casse di 27 aziende europee, con in testa la francese Safran (5,6 miliardi) e la tedesca Rheinmetall (4 miliardi), seguite da Thales, Airbus, Bae Systems e Rolls Royce. Fra i beneficiari, al 10 posto, anche l’italiana Leonardo, impresa partecipata dallo Stato, che avrebbe attratto ingenti capitali sostenibili nonostante il suo coinvolgimento in scenari bellici.
Nel novembre 2021 Alessandro Profumo, allora amministratore delegato di Leonardo, incontra Timo Pesonen, direttore generale per l’industria della difesa e lo spazio della Commissione europea e, scrive VoxEUROPE, ‘mostra preoccupazione per il fatto che l’industria della difesa sia esclusa dalla tassonomia dell’Ue per le attività sostenibili”.
Poi c’è il flusso di denaro che dall’Europa “verde” finisce direttamente a finanziare la guerra a Gaza attraverso l’azienda israeliana Elbit Systems. VoxEUROPE rivela che 23 milioni di euro, provenienti da 25 diversi fondi sostenibili europei gestiti da giganti della finanza mondiale, sono stati investiti nell’azienda israeliana, che produce i droni attivi a Gaza. Secondo Iain Overton, direttore dell’ONG inglese Action on Armed Violence che monitora la violenza armata sulla Striscia e il suo impatto sui civili, questi investimenti rivelano “una catena probatoria di responsabilità morale. La distanza tra un investimento etico e un attacco a Gaza è più diretta e più tracciabile di quanto l’industria vorrebbe ammettere”.
Mentre il mercato globale della difesa esplode, toccando i 3.000 miliardi di euro (il doppio rispetto al 2021), milioni di piccoli risparmiatori europei restano all’oscuro di come vengono impiegati i loro soldi. Esperti sentiti dagli Autori dell’inchiesta, come Nicola Koch del Sustainable Finance Observatory, denunciano una totale mancanza di trasparenza, mentre Attiya Waris, relatrice ONU su diritti umani e finanza, ricorda che “non esiste sostenibilità senza pace”. Per Armin Baranes della Fondazione Finanza Etica la UE, all’insaputa dei suoi cittadini, ha deliberatamente operato un “greenwashing istituzionale” paragonabile a vendere “bistecche vegetariane fatte di carne”.