Lilli Gruber, nel ruolo di grande banalizzatrice del campo progressista
Nell’informazione nazionale colonizzata dalla Reazione rampante – da TeleMeloni a Mediaset – La7 risulterebbe una rara enclave progressista. Il problema è che questo ruolo prezioso (per un minimo sindacale pluralistico) trova a mio avviso il proprio limite nella conduzione della sua trasmissione di massimo ascolto: l’approfondimento giornaliero di Otto e Mezzo, gestito da una sempre più imbarazzante Dietlinde Gruber detta Lilli. E ciò nonostante le ospitate funzionali a fungere – nei limiti del possibile – da contrappeso alla potenza di fuoco imbonitoria del Regime: la demistificazione di Marco Travaglio, le analisi controcorrente di Lucio Caracciolo, il pensiero critico di Massimo Cacciari.
Un potente antidoto alla propaganda biecamente “a prescindere” dalla decenza, che pure la trasmissione continua a mettere in onda in base al più stucchevole dei politicamente corretti; con la banda dei guastatori di pronto intervento per silenziare chi osa muovere addebiti al loro boss Meloni: dalla lingua velenosa dell’Italo Bocchino vestito a festa, che per essere accolto a corte deve far dimenticare trascorsi finiani, alla garrula Brunella Bolloli, dalla melanconica Annalisa Terranova, che forse un po’ si vergogna di dire ciò che la parte le prescrive, al puro grottesco di Mario Sechi, uscito del set di Guerre Stellari nella parte di Jabba the Hutt. Tutti scherani a libro paga della stampa di partito e dintorni. Dunque un mischione tradotto televisivamente in gazzarra continua.
Il guaio è che a dirigere questo traffico, a rischio permanente di testa e coda, è preposta una coordinatrice zavorrata da limiti palesi. Ossia la giornalista che si prefigge il compito di tutelare e promuovere come stelle polari salvifiche, nell’attuale confusione babelica generata dalla fine degli equilibri sistemici (la centralità dell’eccezionalismo americano, il pianeta diviso in buoni e cattivi, la globalizzazione finanziaria come migliore dei mondi possibili), miti ingannevoli elevati a oggetti di fede. Banalizzazioni che ritengo in larga parte effetto di una lunga carriera non solo professionale: parlamentare europea per l’Ulivo tra il 2004 e il 2008, ospite fissa con Matteo Renzi nel ben noto Gruppo Bilderberg; ossia il club di ricconi con pretese di padroni del mondo – come ha scritto il Manifesto – “costituitosi nel 1954 formalmente per iniziativa di ‘eminenti cittadini’ statunitensi ed europei, in realtà creato dalla Cia e dal servizio segreto britannico MI6 per sostenere la Nato contro l’Urss. Dopo la guerra fredda, ha mantenuto lo stesso ruolo a sostegno della strategia Usa/Nato”.
Insomma, una perfetta adepta del tipo definito da uno che se ne intende – Samuel Huntington – “l’uomo di Davos” e identificato “nelle anime morte che pagano o sono pagate per seguire barbose e autocompiaciute presentazioni sulle ‘sfide globali’: la diffusione dell’utopia del mercato post-nazionale, in cui i confini svanirebbero e la logica della politica sarebbe soppiantata da quella del mercato” (Alessandro Aresu, Limes 7/2025).
Coerente con tale percorso biografico, la Gruber si aggrappa alle sue coperte di Linus che non tollera siano messe in discussione: a livello continentale l’Unione Europea; a quello nazionale – da ex tesserata Pd – il “campo largo” del tutti insieme appassionatamente nella versione bersaniana puramente sommatoria, da Renzi-Calenda fino a Fratoianni, per l’ascesa a improbabile premier di Elly Schlein, la pattinatrice su bucce di banana.
Guai a dire che la fantasmatica organizzazione, ospite di un’altra accozzaglia di anime morte tra Bruxelles e Strasburgo, nasce già male come “progetto di modernizzazione realizzato dall’alto: una strategia per la produttività, l’efficienza e la crescita economica concepita secondo i principi di Saint-Simon, gestita da esperti e funzionari, con ben poca attenzione per i desideri dei beneficiati” (Tony Judt, Postwar 2017). Sicché la guerra russo-ucraina deve continuare all’infinito per consentire ai leader europei guerrafondai di salvare la poltrona; il piano di riarmo da 800 miliardi contro un nemico indefinito è la ricetta per salvare un’industria europea morente, grazie alla riconversione dal civile al militare. Soprattutto astenersi dalla blasfemia verso i sacri valori dell’Occidente, anche se non si sa a cosa ci si riferisce.
L’Europa cristiana che si scannava nelle guerre di religione? La triade Marché, Monnai, Globalité che ha sostituito le più generose Liberté, Egalité, Fraternité? Forse potremmo dire che “la Saggezza dell’Occidente” è il secolare impegno per costruire una società aperta alla circolazione delle idee e delle persone attraverso la pratica del dialogo e della tolleranza. Principi in rotta di collisione con la vocazione alla violenza: l’altra faccia (insensata) dell’Occidente. Come insegnava Immanuel Kant, propugnando “l’uso critico della ragione”. Ma non diciamolo alla Gruber, allergica a tale uso.