Ford e Volkswagen cambiano rotta. Meno elettrico, più ibrido e redditività
Hanno ormai cadenza giornaliera le notizie che riguardano la revisione delle strategie sull’auto elettrica da parte dei principali costruttori dell’automotive. Le ultime in ordine di tempo arrivano dal vecchio e dal nuovo continente. In Germania, infatti, si sono ufficialmente fermate le attività produttive della Gläserne Manufaktur, l’impianto situato a Dresda attivo da quasi un quarto di secolo e fortemente voluto da Ferdinand Piëch, uno dei leader più carismatici e decisionisti della storia del Gruppo. Quella di Dresda è stata la prima fabbrica (esclusivamente) dedicata alla produzione di vetture elettriche della Germania, con l’avvio dell’assemblaggio della e-Golf nel 2017 e della ID.3 nel 2021. Ed è anche la prima fabbrica della Volkswagen a cessare le attività in 88 anni di storia del costruttore di Wolfsburg. Ai 230 dipendenti dell’impianto saranno proposti ricollocamenti in altre fabbriche della VW.
Chiaro che sullo shutdown della fabbrica – probabilmente anche troppo piccola per generare le necessarie economie di scala, indispensabili per la sostenibilità di qualsiasi linea di montaggio – abbia pesato il rallentamento delle vendite di auto elettriche (soprattutto dopo la fine degli incentivi statali). A suo modo, la chiusura della Gläserne Manufaktur costituisce un altro segnale, l’ennesimo, del fallimento della strategia “electric only”, che tutti i costruttori stanno velocemente abbandonando.
E proprio mentre Dresda chiude i battenti, la sua alleata Ford – fresca fresca di una partnership con Renault in cui potrebbe finire anche la Volkswagen medesima – annuncia un netto ridimensionamento dei piani industriali relativi ai veicoli a batteria. Chiaro che in questo caso, oltre all’impossibilità di raggiungere i target commerciali prefissati, pesino anche le politiche della Casa Bianca, non meno che ostili all’elettromobilità. Un dietrofront che – complici le “inerzie da transatlantico” di una grande multinazionale – alla Ford costerà peraltro quasi 20 miliardi di dollari. Che è, presumibilmente, un’emorragia di denaro inferiore a quella che deriverebbe dal mantenimento dello status quo strategico. Infatti, per la sua divisione elettrica “Model e”, Ford prevede il passaggio dalle attuali perdite alla redditività entro il 2029.
Sicché le risorse da investire saranno riallocate dall’auto elettrica a prodotti più in linea con le richieste del mercato, capaci oltretutto di generare una maggiore redditività, nuovi pick-up e furgoni in primis. Di conseguenza, il costruttore si concentrerà su veicoli con motori ibridi ed elettrici ad autonomia estesa (Erev), ovvero dotati di un motore termico che lavora come generatore di corrente. Ibride, Erev ed elettriche dovranno costituire il 50% delle vendite entro il 2030. Chiaro che l’altro 50% sarà generato dai veicoli termici.
Cambi di rotta che, giocoforza, interessano anche la produzione delle batterie, ridimensionata e dirottata verso il business nei sistemi di stoccaggio energetico. I piani per produrre veicoli elettrici di grandi dimensioni? Cancellati; stessa sorte toccata al furgone elettrico per l’Europa. Una marcia indietro che è anche nell’immagine che Ford vuole trasmettere al pubblico (e alle istituzioni statunitensi): basti pensare che la fabbrica del “Tennessee Electric Vehicle Center” sarà ribattezzata in “Tennessee Truck Plant” – per la gioia dell’inquilino della Casa Bianca – e produrrà i nuovi camion della famiglia Tough dal 2029.