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Quando il dissenso infastidisce il Cremlino: il collettivo Pussy Riot dichiarato “organizzazione estremista”

Il gruppo era entrato nel mirino delle autorità già nel 2012, dopo una performance contro Putin e la Chiesa Ortodossa nella Cattedrale di Cristo Salvatore, a Mosca: le protagoniste furono condannate a 13 anni di carcere. I magistrati, per motivare la decisione attuale, hanno citato anche il testo di un brano che critica l'invasione dell'Ucraina
Quando il dissenso infastidisce il Cremlino: il collettivo Pussy Riot dichiarato “organizzazione estremista”
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“Mamma, sono stato fatto prigioniero. Non guardare la TV mamma, qui non ci sono nazisti. Mamma, perché è la guerra chiamata ‘operazione speciale’?”. Questo è il ritornello del brano Mama, Don’t Watch TV della band Pussy Riot. Lo scorso settembre, le componenti del gruppo sono state condannate in contumacia per aver diffuso “false informazioni” sull’esercito russo. I magistrati, per corroborare le loro motivazioni, hanno citato sia il brano in questione, che la protesta avvenuta nel 2024 al museo Pinakothek der Moderne di Monaco, durante la quale le Pussy Riot hanno scandito slogan contro la guerra e hanno definito il presidente Vladimir Putin un “criminale di guerra”, mentre un membro della band ha urinato sul ritratto del leader del Cremlino.

Ma non è bastato. Da qualche ora, Pussy Riot per le autorità russe è una sigla inserita nell’elenco delle “organizzazioni estremiste” che hanno il divieto di svolgere attività in Russia. A stabilirlo è stato il tribunale distrettuale di Tverskoy (Mosca) che ha accolto la richiesta del viceprocuratore generale della Federazione Russa. Da questo momento, chiunque sia associato alle azioni di Pussy Riot potrà essere perseguito penalmente. Lapidario il commento delle protagoniste: “Questi idioti ci lavorano da anni, almeno dal 2012”.

Le componenti della band, del resto, hanno già sul groppone condanne non indifferenti. Maria Alyokhina e Nadia Tolokonnikova sono state arrestate e incarcerate nel 2012 per aver eseguito una “preghiera punk” nella Cattedrale di Cristo Salvatore, a Mosca: un gesto che è costato a entrambe 13 anni di galera. Olga Borisova, Alina Petrova e Diana Burkot hanno ricevuto pene di otto anni ciascuna, Taso Pletner è stato condannato a 11 anni.

Il gruppo dissidente è stato fondato nel 2011 nella capitale russa e ha subito attirato l’attenzione delle autorità per le performance anti governative e contro la censura. Nel 2012 è proprio l’iniziativa messa in atto nella Cattedrale di Cristo Salvatore – che prende di mira sia Putin che la Chiesa Ortodossa – a farle conoscere a livello internazionale.

Gli attivisti del collettivo non si mostrano sorpresi dalla decisione del tribunale. Alexander Sofeev, ascoltato dal Moscow Times, ha dichiarato: “I terroristi ci hanno etichettati come estremisti. Non posso dire di essere particolarmente turbato da una decisione presa da persone del genere. Per me, queste sono istituzioni completamente illegittime che non rappresentano in alcun modo i miei interessi. Per quanto riguarda le nostre attività, fortunatamente tutti i partecipanti ora si trovano fuori dalla Russia, quindi non credo che ci saranno grandi cambiamenti”.

Nel 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per le conseguenze di una operazione di polizia contro le Pussy Riot, avvenuta a Sochi nel 2014. La Corte ha stabilito che le azioni delle forze di sicurezza avevano violato sia il divieto di trattamenti inumani o degradanti, che il diritto alla libertà di espressione. La Corte ha riconosciuto a ciascuna delle cinque ricorrenti un risarcimento di 15.000 euro. Tornando alla decisione dei magistrati russi, le Pussy Riot evidentemente si aspettavano una mossa simile, tanto che già un mese fa Nadya Tolokonnikova, ora residente negli Stati Uniti, e ricercata da Mosca, il mese scorso aveva scritto su X: “Se dire la verità è estremismo, allora siamo felici di essere estremisti”.

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