Il mondo FQ

Asset russi congelati, per usarli è determinante l’ultimo Consiglio Ue dell’anno. Ma l’Europa si presenta sgretolata

Da settimane, i vertici di Bruxelles ostentano ottimismo sulla possibilità di sfruttare i beni come garanzia per il prestito di riparazione all'Ucraina. Ma tenere insieme i pezzi della cristalleria Ue richiederà l'ennesimo sforzo diplomatico
Asset russi congelati, per usarli è determinante l’ultimo Consiglio Ue dell’anno. Ma l’Europa si presenta sgretolata
Icona dei commenti Commenti

Lo hanno presentato come un Consiglio europeo decisivo per il futuro sostegno dell’Ue all’Ucraina, nel quale si cercherà un’intesa da chiudere prima della pausa natalizia. Ma al vertice tra i 27 capi di Stato e di governo del 15-19 dicembre che porta sul tavolo il delicatissimo tema dell’utilizzo degli asset russi congelati a garanzia del prestito per sostenere Kiev, l’Unione europea arriva di nuovo sgretolata. Da settimane, i vertici di Bruxelles ostentano ottimismo: si lavora senza sosta, dicono, esiste una “larga maggioranza“, aggiungono sostenendo che si percepiscono segnali positivi in vista del summit. Ma tra chi da anni ormai si oppone a un ulteriore inasprimento dei rapporti con la Russia, chi teme di incorrere in richieste di risarcimento plurimiliardarie e chi non può ignorare la posizione contraria degli Stati Uniti, tenere insieme i pezzi della cristalleria Bruxelles richiederà l’ennesimo sforzo diplomatico.

“Andrà tutto bene”

Fino a oggi, la strategia della Commissione Ue è stata quella dell’ostentare ottimismo. A veicolare questo messaggio ha pensato più volte la portavoce della Commissione, Paula Pinho, che ha spiegato alla stampa come sull’uso degli asset russi immobilizzati per il sostegno all’Ucraina la Commissione Ue con gli Stati membri sta cercando “di fare quanti più progressi possibili sui vari elementi del pacchetto, in modo che una soluzione possa essere trovata al Consiglio europeo”. In quella direzione si sono spesi anche alti esponenti delle istituzioni Ue, come il presidente del Consiglio Antonio Costa: “Credo che siamo molto vicini a trovare una soluzione – ha dichiarato – Per me è certo che il 18 dicembre prenderemo una decisione. Ma, se necessario, continueremo il 19 o il 20 dicembre, fino a raggiungere una conclusione positiva”. Posizione condivisa anche dal commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, che l’11 dicembre assicurava: “Stiamo lavorando molto da vicino con le autorità belghe per affrontare le preoccupazioni che esse hanno. E, in effetti, direi che abbiamo fatto davvero grandi passi per rispondere”.

L’Europa sgretolata

Tutto bene, quindi? Nemmeno per sogno. Il primo ostacolo sono i soliti due Paesi contrari all’inasprimento di qualsiasi misura sanzionatoria nei confronti della Russia: l’Ungheria e la Slovacchia. Da Bratislava, il premier Robert Fico ha fatto sapere che non sosterrà alcuna soluzione che finanzi le spese militari dell’Ucraina: “La Slovacchia non prenderà parte a piani che non fanno altro che prolungare le sofferenze e le uccisioni“, ha affermato precisando di conseguenza che non sosterrà “alcuna soluzione che comprenda la copertura delle spese militari dell’Ucraina per i prossimi anni”. E l’utilizzo dei beni russi congelati, ha spiegato, “può minacciare direttamente gli sforzi di pace degli Usa che prevedono proprio l’utilizzo di tali risorse per la ricostruzione dell’Ucraina”.

Anche il Paese guidato da Viktor Orban si è detto contrario. Budapest ha votato, proprio come la Slovacchia, contro l’eliminazione del rinnovo semestrale degli strumenti sanzionatori nei confronti della Russia, scelta che li ha resi di fatto a tempo indeterminato. Poi, dopo l’approvazione con larga maggioranza, ha commentato la scelta affermando che “oggi a Bruxelles si attraversa il Rubicone. La votazione causerà danni irreparabili all’Unione. Bruxelles abolisce il requisito dell’unanimità con un solo colpo di penna, il che è chiaramente illegale“.

Se si trattasse dei ‘soliti noti’ Ungheria e Slovacchia il problema sarebbe aggirabile: se al voto sul prestito di riparazione garantito dagli asset russi si ripresentasse l’opposizione di Budapest e Bratislava, si potrebbe comunque procedere con la maggioranza qualificata che richiede l’ok di almeno 15 Stati membri e del 65% della popolazione totale. I contrari, però, questa volta sono molti di più. In primis va tenuta in considerazione soprattutto la posizione del Belgio che il 10 dicembre ha minacciato azioni legali nel caso in cui venisse approvato l’uso degli asset russi congelati come garanzia per il prestito all’Ucraina. Il motivo è semplice: nel piccolo Paese europeo sono conservati, attraverso Euroclear, la stragrande maggioranza dei beni in questione, ben 185 miliardi sui 210 totali. Un ricorso legale di chi deteneva gli asset prima delle sanzioni esporrebbe Bruxelles a un maxi-rimborso che, hanno spiegato dall’esecutivo belga, per il Paese significherebbe “la bancarotta“. Una posizione dura espressa non da un Paese ‘ribelle’, ma da uno solitamente allineato alle posizioni della maggioranza degli Stati europei. Tanto che anche il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha dichiarato quanto fosse importante che tutti gli Stati membri condividessero le responsabilità economiche per alleggerire il carico che pesa sulle spalle del Belgio. Negli ultimi giorni, il clima tra il governo di Bruxelles e le istituzioni Ue sembra essere un po’ più disteso, segno che le parti stanno trattando e che un punto d’incontro non è un’utopia.

Se si parla di condivisione dei rischi economici, però, ci sono altri Paesi che hanno espresso più di una perplessità. La Francia, che detiene circa 19 miliardi di asset russi congelati, ha chiesto che quelli sul suo territorio venissero esclusi dal conteggio di quelli utilizzabili come garanzia per il prestito di sostegno a Kiev. E a dichiararsi molto dubbiosi sono stati anche Bulgaria, Malta e persino l’Italia. La posizione del governo Meloni è stata chiarita dai due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. “L’Europa prima non c’era, ora mi sembra che stia boicottando il processo di pace, forse perché Macron, Starmer e altri leader sono in difficoltà in casa loro e quindi devono portare all’esterno i problemi francesi e inglesi. Ma noi non siamo in guerra contro la Russia e non voglio che i miei figli entrino in guerra contro la Russia – ha dichiarato il leader leghista – Fa bene il governo italiano a tenere una linea di prudenza“. Tajani ha invece sollevato dubbi di tipo legale: “Noi abbiamo approvato la proposta di congelare gli asset russi. Ma questo non è un passaggio automatico sull’utilizzo di questi asset congelati per finanziare l’Ucraina, noi abbiamo serie perplessità dal punto di vista giuridico. Se fosse evitato qualsiasi dubbio giuridico si potrebbero utilizzare anche i beni congelati”.

Anche con il ‘no’ di questi Paesi, la mossa potrebbe essere approvata, dato che a favore resterebbero 21 Paesi e oltre il 79% della popolazione. Lo stesso anche con l’opposizione della Repubblica Ceca che per ultima, con il neoeletto primo ministro Andrej Babis, ha dichiarato che “ogni corona ceca è necessaria per i nostri cittadini, non per altri Stati”, invitando la Commissione a trovare “un altro modo” per finanziare Kiev.

Dialogo o scontro?

Alla maggioranza del Consiglio Ue resta quindi da decidere se arrivare a una decisione la più condivisa possibile o a una sua imposizione in nome della rapidità d’azione. Col rischio di frantumare i già precari equilibri interni all’Ue. Lo stesso Dombrovskis sembra non avere le idee chiare a riguardo. Quando gli è stato chiesto se il finanziamento può essere deciso anche senza il via libera del Belgio, ha risposto: “Non entrerei in scenari ipotetici. Stiamo lavorando con gli Stati membri. Stiamo lavorando molto seriamente, come ho detto, per affrontare le preoccupazioni che il Belgio ha, e spero che riusciremo a trovare una via da seguire”.

Dietro la riluttanza di alcuni Stati membri, oltre agli interessi particolari, c’è anche la pressione esercitata dagli Stati Uniti che si sono dichiarati fermamente contrari all’utilizzo dei beni russi congelati a garanzia del prestito all’Ucraina, ritenendola una mossa ostile nei confronti di Mosca. E certamente Washington avrà fatto pressione sulle cancellerie amiche, tanto che anche Costa ha criticato apertamente l’azione di Washington: “Non possiamo accettare le interferenze degli Usa, un alleato rispetta la politica interna del partner”.

Resta il fatto che l’Europa, ad oggi, appare più frammentata che mai e che prendere una decisione così determinante per il futuro economico dell’Unione e per le sue strategie di supporto all’Ucraina affidandosi solo alla maggioranza qualificata rischia di creare una frattura gigante tra i 27 Stati membri. C’è tempo fino al 20 dicembre per arrivare a una soluzione diplomatica, altrimenti Bruxelles si troverà di nuovo a un bivio: ritardare la decisione e aprire a nuove strategie o forzare la mano e rischiare di spaccare l’Ue in nome del nuovo whetever it takes in salsa ucraina.

X: @GianniRosini

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione