“Supervisor, i professionisti dell’AI”: un libro per inquadrare potenzialità e sfide dalla medicina all’avvocatura
“Sono un medico: cosa posso fare con l’intelligenza artificiale?”, “Quali sono i punti di forza dell’AI per lo psicologo?”, “Come posso utilizzare l’AI da commercialista?”, “Cosa fa l’AI per l’avvocato?”, “Quali sono i vantaggi dell’AI per i notai?”. C’è un nuovo libro – con possibilità di lettura interattiva – in cui sono gli stessi professionisti a spiegare come l’AI può già essere utile (e quanto lo sarà in futuro) nei rispettivi ambiti. Si chiama “Supervisor, i professionisti dell’AI”, opera di Filippo Poletti, top voice di LinkedIn, dove dal 2017 cura una rubrica quotidiana dedicata al lavoro. Nel libro ci sono gli interventi di 70 esperti, tra cui i presidenti nazionali di 9 ordini professionali e di istituzioni pubbliche a partire dall’AgID. Qui di seguito, l’intervista di Poletti a Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), estratta dal libro (376 pagine, 28.50 euro) edito da Guerini e Associati.
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Presidente Anelli, come vede evolversi il mestiere del medico? In particolare, quali opportunità potranno emergere dall’adozione dell’intelligenza artificiale?
“La professione medica è oggi al crocevia di cambiamenti epocali, che coinvolgono non solo la sfera scientifica e tecnologica, ma anche quella etica, sociale e normativa. In questo scenario, l’intelligenza artificiale rappresenta l’innovazione dirompente per eccellenza in ambito medico. La disponibilità di una mole di dati praticamente illimitata, insieme alla capacità di elaborarli con grande rapidità, apre scenari un tempo impensabili, soprattutto in ambito predittivo: diagnostica precoce, terapie personalizzate, monitoraggio in tempo reale, sviluppo di farmaci, ma anche ottimizzazione dei processi amministrativi e formazione clinica avanzata sono solo alcuni dei campi di applicazione.
L’impatto dell’intelligenza artificiale nella professione medica è profondo e multiforme, trasformando molti aspetti della fornitura di cure mediche, della ricerca e dell’amministrazione. Tra le aree sulle quali l’AI ha maggior impatto, l’imaging, la diagnosi precoce, i piani di trattamento e terapie personalizzate; e, ancora, la progettazione di nuovi farmaci, tramite modelli predittivi; il monitoraggio dei pazienti in tempo reale; i compiti amministrativi e burocratici, quali la gestione degli appuntamenti o l’aggiornamento delle cartelle cliniche; la formazione, tramite modelli di simulazione avanzati; il coinvolgimento dei pazienti e l’aderenza alle terapie; la sorveglianza delle malattie e la previsione di epidemie e pandemie. In particolare, in ambito sanitario l’intelligenza artificiale sta automatizzando molti compiti amministrativi, come la pianificazione degli appuntamenti, la gestione delle cartelle cliniche dei pazienti e l’elaborazione delle richieste di assicurazione. Ciò riduce l’onere amministrativo per i professionisti della sanità, consentendo loro di concentrarsi maggiormente sull’assistenza ai pazienti”.
Nell’ottica della trasformazione consapevole della vostra professione, quali sono le sfide critiche che occorre presidiare nell’integrazione dell’AI?
“L’AI nella professione medica non solo sta migliorando l’efficienza e l’accuratezza dei servizi sanitari, ma sta anche aprendo la strada a soluzioni sanitarie più innovative, personalizzate e accessibili in tutto il mondo. L’AI, tuttavia, non è priva di criticità e come tutti gli strumenti può prestarsi a un utilizzo improprio. La diffusione massiva e sistemica di applicazioni di AI impone la necessità di una regolamentazione chiara e condivisa in linea con l’Europa, oltre a sollevare tutta una serie di questioni etiche, legali e formative. Tra queste, il rischio di una disumanizzazione del rapporto di cura, la responsabilità legale in caso di errore indotto dall’algoritmo, l’interpretazione corretta delle informazioni, l’accentuazione delle disuguaglianze nell’accesso alle cure, la privacy dei dati, la sicurezza informatica.
Tra i rischi paventati, ci sono anche quelli legati a un approccio eccessivamente centrato sull’efficienza, che potrebbe ridurre l’interazione umana e ridimensionare l’interazione medico-paziente. L’AI potrebbe, inoltre, non essere in grado di considerare adeguatamente la complessità del contesto clinico del singolo paziente, influenzato anche da fattori socioeconomici e da convinzioni o preferenze personali. Ancora, gli algoritmi potrebbero rispecchiare i pregiudizi umani nelle scelte decisionali o diventare il “magazzino” dell’opinione medica collettiva. Ad esempio, l’analisi di patologie in cui venga sistematicamente sospesa la cura perché ritenute a esito infausto potrebbe portare alla conclusione che siano comunque incurabili: una profezia che si autoconferma. Infine, ma non certo ultimo per importanza, gli algoritmi potrebbero perseguire obiettivi non etici. Il conflitto etico potrebbe crearsi per le differenze di intenti e obiettivi tra chi finanzia e realizza un algoritmo e chi lo utilizza.
Per mitigare questi rischi è essenziale trovare un equilibrio tra l’efficienza offerta dall’AI e la necessità di considerare l’individualità e il contesto clinico di ciascun paziente. Gli operatori sanitari dovrebbero essere coinvolti attivamente nella gestione e nella supervisione dei sistemi di AI, garantendo che la tecnologia sia utilizzata come strumento complementare e non come sostituto delle competenze umane. Normative e linee guida chiare sono fondamentali per garantire un utilizzo etico e sicuro dell’AI in ambito medico”.
Quali sono le competenze che i medici dovranno sviluppare nei prossimi anni?
“È stato detto, e non potrei essere più d’accordo, che in futuro la competizione non sarà tra medico e macchina ma tra medici che sapranno usare le nuove tecnologie e medici che non saranno in grado di farlo. E per utilizzare bene l’intelligenza artificiale in medicina non bastano le competenze tecnologiche: occorre la capacità di governarla, integrando tali competenze con quelle mediche e anche con le skill non prettamente tecniche, date da intuito, esperienza clinica, capacità di ascolto del paziente e di interpretazione dei dati.
L’AI da sola, come già detto, potrebbe non essere in grado di considerare adeguatamente il contesto clinico complesso di ciascun paziente, come le variabili socio-economiche, le preferenze personali e altri fattori che possono influenzare le decisioni di cura. E un focus esclusivo sull’efficienza immediata potrebbe trascurare la necessità di valutare l’efficacia a lungo termine delle decisioni di cura, con potenziali ripercussioni sulla salute a lungo termine del paziente.
Non vogliamo che i sistemi digitali si trasformino in surrogati del medico, come accaduto in Gran Bretagna con chatbot che hanno sostituito il primo contatto tra il medico e il paziente. Al contrario, gli algoritmi devono essere strumenti fondamentali, volti a potenziare la precisione diagnostica e l’efficacia terapeutica, senza erodere la relazione umana.
Il medico, dunque, pur mantenendo il suo ruolo centrale, dovrà essere in grado di integrare i suggerimenti dell’AI nelle decisioni, rispettando e valorizzando il punto di vista del paziente. La formazione dei professionisti sanitari, di pari passo, dovrà evolversi includendo competenze digitali, in modo da preparare i medici a lavorare in sinergia con le nuove tecnologie, ma anche competenze in ambito comunicativo, per spiegare l’utilizzo dell’AI ai pazienti e rafforzare l’interazione umana. I medici di domani dovranno imparare a dedicare tempo al paziente, ad ascoltarlo, a rivalutare la singolarità dell’individuo utilizzando la complessità degli strumenti a disposizione, tra cui l’AI, per giungere a una diagnosi e per definire una terapia.
Prendersi cura della persona significa rispettare l’altro come individuo che a noi si affida, preservare la sua dignità, rendere esigibili – grazie alle nostre competenze – i suoi diritti.
È un cambiamento che presuppone una profonda modifica anche dei percorsi formativi, in grado di preparare un medico che possa utilizzare lo strumento della comunicazione come l’atto più importante per la cura del paziente, e le nuove tecnologie come ausilio prezioso per migliorare i percorsi di diagnosi e di cura, senza mai sovrastare o, peggio ancora, sostituire il clinico”.
Da ultimo, in termini di governance della professione, quali iniziative la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri sta progettando e portando avanti per supportare gli iscritti in questa fase storica caratterizzata da grandi innovazioni tecnologiche?
“L’utilizzo delle nuove tecnologie, tra le quali l’intelligenza artificiale ha un ruolo da protagonista, è una delle quattro direttrici sulle quali si sta sviluppando la revisione del Codice di Deontologia medica, la cui edizione vigente risale al 2014. Le altre sono i “nuovi” diritti, come l’autodeterminazione, il pluralismo culturale, la libertà della ricerca e della scienza; la comunicazione, intesa come rapporto medico paziente, con le altre professioni, e con l’esterno; e la responsabilità, autonomia e rischio clinico, che riguarda, tra le altre cose, il conflitto di interesse e il rapporto tra il Codice e la legge. Si tratta di tematiche che riguardano non solo i medici, ma l’intera società civile. Per questo abbiamo voluto ampliare il confronto, affiancando alla Consulta deontologica un board di esperti – medici, giuristi, giornalisti, filosofi della medicina, ingegneri clinici – per condividere le linee su cui intervenire. Tra i componenti, in quanto esperti di questa tematica, Carlo Casonato, professore ordinario di Diritto costituzionale comparato all’università di Trento e Lorenzo Leogrande, past president dell’Associazione Italiana Ingegneri Clinici e docente all’Università Cattolica di Roma, che all’intelligenza artificiale ha dedicato, tra l’altro, uno dei nostri podcast “Salute e sanità”, che raccontano le innovazioni in medicina.
In questo percorso, grande è stato l’apporto del Gruppo di lavoro dedicato alle nuove tecnologie informatiche. Mentre il Comitato Centrale, il 4 marzo 2025, ha approvato all’unanimità un documento sull’AI che sancisce un principio chiaro: l’AI deve essere usata esclusivamente a supporto del medico, garantendo trasparenza, spiegabilità e qualità dei dati; il medico rimane responsabile delle scelte cliniche, mentre il paziente deve essere informato attivamente sull’uso di algoritmi, potenzialità e rischi. Dal punto di vista formativo, all’AI sono stati dedicati convegni e corsi di formazione, ultimo, nel mese di maggio del 2025, quello realizzato a Roma in occasione dell’Assemblea dei Medici Ospedalieri Europei (AEMH) e dedicato all’impatto sulla professione medica di intelligenza artificiale, realtà aumentata e metaverso.
Quelli delle innovazioni tecnologiche e della tutela dei dati sensibili sono, del resto, temi cari alla FNOMCeO, che ha intitolato loro diversi articoli del vigente Codice di Deontologia medica e che ulteriormente li svilupperà, alla luce delle innovazioni tecnologiche, scientifiche e legislative, e del contesto di digitalizzazione e di circolazione dei dati anche a livello internazionale, nel nuovo testo in corso di revisione.
Rinnovare il Codice di Deontologia Medica rappresenta sempre una sfida per la professione, giacché comporta una profonda riflessione sulla natura dell’essere medico e sul ruolo che i medici, attraverso quest’antica arte professionale, svolgono nella nostra società nell’assicurare la salute, nel curare le malattie e nel lenire le sofferenze.
Questo è tanto più vero oggi: nei suoi primi undici anni di vita, il Codice vigente ha attraversato vere e proprie rivoluzioni scientifiche, tecnologiche, sociali, bioetiche, passando attraverso una pandemia, l’uso sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale, la crisi del Servizio sanitario nazionale, che vede vacillare – sotto i colpi dei tagli economici e delle ragioni di bilancio – i principi fondanti di universalismo e uguaglianza. Ecco allora la necessità di una revisione profonda, che non veda la professione ripiegarsi su sé stessa, ma che parta da un confronto con la società civile e arrivi a un cambio di passo, un cambio di paradigma, intendendo per questo la necessità di rivedere la definizione del ruolo del medico, ossia il passaggio da un professionista oggi preparato per curare la malattia a un medico capace e formato per curare la persona.
Si tratta di un cambio di prospettiva radicale, capace di intercettare i bisogni della nostra società, legati anche a una maggiore esigibilità da parte dei cittadini dei propri diritti, ma anche di adeguare la professione medica ai cambiamenti in atto derivanti dalla rivoluzione digitale e dalla necessità di preservare la natura e l’ambiente che ci circonda.
Il punto d’arrivo dovrà essere un Codice che indichi chiaramente ai medici di domani che devono imparare a dedicare tempo al paziente, ad ascoltarlo, a rivalutare la singolarità dell’individuo, utilizzando la complessità degli strumenti a disposizione per giungere a una presa in carico della persona nella sua interezza, perché il medico debba non solo curare le malattie attraverso la diagnosi e la terapia ma essere sempre più il medico della persona”.