15 dicembre 1995, il calcio non sarà più lo stesso: la sentenza Bosman e l’inizio di un’era più libera, più ricca e più diseguale
Trent’anni fa, il tribunale di un paese marginale nella storia del calcio emise una sentenza che avrebbe stravolto lo sport più popolare del pianeta. Protagonisti di questa vicenda, un giocatore belga assolutamente “normale” (Jean-Marc Bosman), un club fondato nel 1892 (RFC Liegi), un avvocato trentenne specializzato in diritto sportivo ed europeo (Jean-Louis Dupont) e i poteri forti del football europeo, sconfitti in tribunale con una sentenza storica. Quel giorno di trent’anni fa, il 15 dicembre 1995, la Corte di Giustizia Europea, sede in Lussemburgo, diede infatti ragione (sentenza C-415/93) al trentunenne centrocampista Jean-Marc Bosman che, il 6 ottobre 1993, aveva sottoposto all’attenzione dei giudici il suo caso personale, in cui era arrivato allo scontro con il RCF Liegi: il club gli aveva infatti impedito di accordarsi con un’altra squadra. Il verdetto, in nome della libera circolazione dei lavoratori dipendenti (articolo 39 del Trattato di Roma, 1957, ora articolo 45 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), consentì ai giocatori a fine contratto di cambiare squadra senza il pagamento della quota di trasferimento e concesse di poter avviare contatti con altre società nei sei mesi precedenti la scadenza del rapporto con il club di appartenenza. La sentenza-Bosman vietò di conseguenza le restrizioni sui giocatori stranieri all’interno dell’Unione Europea (il limite in quel momento era di tre per squadra) e provocò un effetto terremoto nel mercato dei trasferimenti. La norma fu estesa agli altri sport professionistici all’interno dell’UE. Il mondo del calcio, in particolare, fu letteralmente stravolto da questa storia. La libera circolazione dei giocatori comunitari, senza più restrizioni, provocò una vera rivoluzione. Le squadre cominciarono a reclutare a mani basse gli stranieri, riducendo drasticamente il numero dei calciatori reclutabili per le nazionali. I campionati più ricchi – Serie A, Premier, Liga e Bundesliga, nella Ligue 1 francese l’impatto della sentenza-Bosman è stato diverso – si assicurarono i calciatori migliori in circolazione, aumentando in questo modo il divario rispetto alle altre leghe, ma creando problemi anche al movimento di base. L’Italia delle due qualificazioni mondiali mancate di fila è stata forse la nazione meno accorta, in cui l’invasione di giocatori provenienti dall’estero non ha avuto il contrappeso dello sviluppo e degli investimenti nei settori giovanili.
LA VICENDA
Jean-Marc Bosman, originario di Liegi, classe 1984, centrocampista, dal 1983 al 1990 aveva indossato la maglia delle squadre della sua città: Standard (1983-1988) e RFC (Royal Football Club). In gioventù, era stato una promessa, 20 presenze nell’Under 21 belga, in alcuni casi con la fascia di capitano, ma superata la fase “green”, si era “normalizzato”. I problemi personali iniziarono quando, nel 1990, alla scadenza del contratto con il RFC Liegi, raggiunse un accordo con il Dunkerque per trasferirsi nel club francese. Il RCF bloccò l’affare, chiedendo un indennizzo di 500mila sterline. Il Dunkerque rifiutò. Bosman rimase a Liegi e il club gli ridusse drasticamente lo stipendio, con un taglio del 75%. Bosman si ribellò e fece causa al club, alla federazione belga e all’Uefa, sostenendo che impedirgli il passaggio al Dunkerque aveva rappresentato una violazione dell’articolo 39 del Trattato di Roma. Il giocatore fu sospeso dal Liegi e dalle autorità calcistiche belghe. Per continuare l’attività fu costretto a rifugiarsi all’estero: giocò prima nel Saint-Quentin (seconda serie francese) e poi nel Saint–Denis, squadra dell’isola di Reuniòn, nell’Oceano Indiano. Fu contattato da altri club, ma le trattative furono ostacolate dai limiti ancora in vigore degli stranieri e, soprattutto, dalle pressioni per limitare la sua visibilità: aveva sfidato i poteri forti del calcio, non solo del suo paese. La sua vicenda fu sostenuta legalmente da un pool di avvocati, tra i quali emerse la figura di Jean-Louis Dupont.
Quando il 15 dicembre 1995 la Corte di Giustizia Europea emise la sentenza, dando ragione al calciatore, la carriera di Bosman era praticamente finita. Aveva solo 31 anni. Ottenne un risarcimento di 350mila franchi svizzeri: una magra consolazione dopo tutto quello che era successo. Le luci dei riflettori si spensero e Bosman cercò di rifarsi una vita, intraprendendo attività imprenditoriali che si rivelarono fallimentari. Nei momenti più oscuri, si ritrovò come unico introito i sussidi dello stato belga e le donazioni del sindacato internazionale di giocatori. Un paradosso per un personaggio che, grazie alla sua battaglia, ha reso più ricca la categoria che rappresentava.
Non sono stati solo i giocatori i beneficiari di questa storica sentenza: l’altra categoria che ha acquisito un enorme potere e ha avuto accesso a guadagni da favola è quella degli agenti. Sono diventati il cosiddetto terzo potere del football, figure chiave non solo del mercato dei trasferimenti, ma anche, a alti livelli, della gestione di un calciatore nei rapporti con i club. I più potenti, come nel caso del portoghese Jorge Mendes, dirigono agenzie internazionali e hanno un ruolo di primo livello in club importanti. Nel 2001, con l’italiano Mario Monti Commissario europeo, la Commissione Europea stipulò un accordo con UEFA e FIFA per arginare quello che i club definivano un dilagante “potere dei giocatori”. La nuova architettura di regole stabilì il sistema di trasferimento, le finestre di mercato, il concetto di periodo protetto in cui un contratto non può essere rescisso, la durata massima e minima dei contratti. Per Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori professionisti, queste regole sono sbilanciate a favore dei club.
Tra gli effetti della sentenza-Bosman, c’è anche l’allargamento della forbice tra i club più ricchi e quelli medi-piccoli. I ricchi sono diventati ancora più ricchi perché grazie alla forza del portafoglio hanno potuto e possono permettersi di tesserare i giocatori migliori. I medio-piccoli hanno le mani legate: quando i “big” mettono gli occhi sui talenti in ascesa, è impossibile opporsi. La legge del mercato è a favore di chi può contare su risorse illimitate. Basta scorrere l’albo d’oro della Champions e dei principali campionati nazionali: l’unica vera eccezione è stata la straordinaria storia del Leicester di Claudio Ranieri, trionfatore in Premier nel 2016.
Proprio in Inghilterra, due casi anticiparono la vicenda-Bosman. Nel 1912, Herbert Kingaby fece causa all’Aston Villa, che dopo averlo tesserato voleva scaricarlo, bloccandogli lo stipendio. Kingaby avviò un’azione legale contro il club per avergli impedito di giocare. Il sindacato di categoria, la Players’ Union, finanziò le spese legali, ma una strategia errata da parte dell’avvocato di Kingaby portò al rigetto della causa. La Players’ Union rischiò la bancarotta e il numero degli iscritti diminuì drasticamente. Nel 1960, George Eastham fece causa al Newcastle perché voleva impedire il suo trasferimento all’Arsenal. Il giocatore, che avrebbe fatto parte della rosa dell’Inghilterra campione del mondo nel 1966, vinse la causa, ma il suo successo in tribunale non ebbe gli effetti sconvolgenti della sentenza Bosman. La ragione è molto semplice: nel 1995 la questione fu trattata dai tribunali europei e s’intrecciò con le regole sulla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione.