Ecco il primo report sull’evasione nei 27 Paesi Ue: Italia nel mirino per il nero degli autonomi e la riscossione che fa acqua
L’Italia continua a distinguersi in Europea per il livello di evasione fiscale concentrato sul lavoro autonomo e una riscossione che fatica a trasformare gli accertamenti in incassi. Sono alcune delle evidenze che emergono dal nuovo rapporto Mind the Gap della Commissione europea, primo tentativo di offrire una fotografia comparabile dei “buchi” fiscali nei 27 Stati membri. Il documento, che distingue tra mancati introiti dovuti all’infedeltà dei contribuenti e gap determinati da scelte politiche come agevolazioni, esenzioni e sgravi di vario tipo, non consente però di creare una classifica europea dell’evasione: solo per l’Iva, che è un’imposta comunitaria, esistono infatti stime armonizzate per tutti i 27 Paesi. I dati sulle imposte dirette restano invece scarsamente comparabili, perché solo pochi Paesi pubblicano stime disaggregate per categoria di reddito.
Il primato italiano
L’Italia almeno da questo punto di vista è virtuosa perché è tra i pochi Stati che stimano ogni anno sia il tax gap (differenza tra le imposte dovute e quelle effettivamente versate) relativo alla tassazione del reddito di impresa sia quello che riguarda l’Irpef, la tassazione personale. E rende pubbliche le previsioni nella Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Ma le buone notizie finiscono qui. La scheda Paese ricorda che nel 2022 l’evasione complessiva è tornata a superare i 100 miliardi di cui 37 (dai 35 dell’anno prima) non versati dai lavoratori autonomi e piccole imprese, la cui propensione al nero è poco sotto il 60% (59,8%). Un confronto con gli altri Paesi Ue come detto è impossibile per mancanza di dati comparabili. Ma per esempio la Svezia, che pubblica (non tutti gli anni) stime dettagliate sul tax gap dell’imposta personale, stando a controlli causali ha registrato tra 2014 e 2018 per i redditi da “business activities” un gap del 21%. Non minuscolo, comunque lontano anni luce dai livelli italiani.
In aumento anche il gap sull’Ires, cioè l’imposta sugli utili delle imprese: è salita al 19,5% per un valore assoluto di 10,3 miliardi, dai 7,6 del 2021. Stando al rapporto, la media sulla base delle stime disponibili per 23 Paesi Ue è del 10,9%. Al contrario, l’evasione è residuale tra i lavoratori dipendenti: il gap si ferma al 2,1% per i lavoratori irregolari e al 5,7% se si considerano le addizionali regionali.
Non sorprende che il peso sul pil dell’economia sommersa – attività non dichiarate, sottostimate o illegali, lavoro nero – sia soffocante: uno studio del Parlamento europeo nel 2022 l’aveva quantificato nel 20,2% del Pil, quasi tre punti percentuali sopra la media Ue (17,5%). Secondo le ultime stime Istat, nel 2023 l’economia non osservata valeva circa 198 miliardi di euro, pari al 10,2% del Pil, in aumento di oltre 15 miliardi rispetto all’anno precedente. Lo scarto tra le due quantificazioni dipende da differenze metodologiche.
La riscossione che arranca
La Commissione riconosce che l’Italia ha fatto progressi importanti sul fronte della digitalizzazione grazie a fatturazione elettronica, interoperabilità delle banche dati e utilizzo di strumenti di analisi avanzata, che nel medio periodo hanno ridotto il tax gap complessivo dal 19,6% del 2018 al 17% circa. Ma la dimensione resta elevata e il recupero effettivo delle imposte accertate è limitato. Nel 2024, a fronte di 72,3 miliardi di evasione fiscale accertata, il recupero effettivo si è fermato a 12,8 miliardi, pari al 17,7%. La riscossione coattiva arranca ancora di più, con incassi fermi al 3,1% a fronte di 40,7 miliardi di euro di somme accertate. Un dato che fotografa una debolezza strutturale della fase finale del sistema di contrasto all’evasione: quella che va dall’accertamento all’effettivo incasso. Nel 2023, le cartelle pendenti a fine anno ammontavano al 180,8% delle entrate nette complessive, a fronte di una media Ue del 30,7%. La gran parte di questi crediti è considerata di fatto non riscuotibile. Da vedere se la riforma messa in campo nell’ambito della delega fiscale sarà sufficiente per invertire la rotta.
Non aiuta che la legge di Bilancio 2026 prevede una nuova rottamazione delle cartelle. Il rapporto richiama a questo proposito le valutazioni della Corte dei conti, secondo cui l’aspettativa diffusa di future sanatorie e condoni fiscali può indurre i contribuenti a rinviare il pagamento confidando di farla franca o al massimo salire sul carro della prossima definizione agevolata.
L’evasione Iva aumentata nel 2023
A livello europeo, l’evasione Iva nel 2023 è stimata in 128 miliardi di euro, pari a circa il 9,5% della base imponibile teorica. L’Italia si colloca ancora sopra la media Ue. Negli anni 2021-2022 la Penisola aveva registrato un forte calo del gap dal 19 al 15%, in parte legato al boom dell’edilizia e al Superbonus 110%, che ha incentivato l’emersione delle transazioni nel settore delle costruzioni. Ma nel 2023 si è registrato – così come in diversi altri Paesi membri – un nuovo aumento a circa 25 miliardi. Il peggioramento potrebbe essere stato determinato in parte dalla progressiva abolizione della maxi detrazione e in parte dalla normalizzazione della domanda dopo il rimbalzo post-pandemico: in particolare il buon andamento di turismo, servizi ricreativi e ristorazione, caratterizzati da livelli di compliance fiscale sotto la media, potrebbe spiegare perché la riduzione dell’evasione ha conosciuto una battuta d’arresto.
In aggiunta, anche il gap dovuto a misure introdotte dalla politica (riduzioni ed esenzioni) è sopra la media Ue: nel 2023 era pari al 55% del gettito potenziale, contro una media del 51%.
Il buco nero delle tax expenditure
E per restare ai “buchi” creati da chi è al governo, il rapporto ricorda che in Italia le agevolazioni fiscali o tax expenditure introdotte anno dopo anno e mai cancellate si tradurranno nel 2025 in mancate entrate per ben 119 miliardi di euro. Vale a dire circa l’11,4% del gettito fiscale totale riscosso dallo Stato, il 5,8% del pil. Vengono monitorate in un rapporto ad hoc e da anni si parla della necessità di “disboscarle”, ma nessuno ha avuto il coraggio di metterci mano pesantemente visto che dietro ogni agevolazione ci sono gli interessi di piccole o grandi platee di contribuenti.