De Benedetti lapida John Elkann: “Fa il tutor per ragazzi problematici. Sarebbe lui ad averne bisogno”
La cessione delle ultime testate del gruppo Gedi segna l’ennesimo passo della lunga ritirata della dinastia Agnelli-Elkann dall’Italia, dopo anni di trasferimenti societari all’estero e dismissioni industriali. A tirare le somme arriva anche Carlo De Benedetti, che intervistato dal Foglio confronta il presente di John Elkann con la stagione dell’Avvocato. La vendita di Repubblica ai greci? “Anche per tenersi lontano dai magistrati, per partirsene via dall’Italia”, è la tesi dell’Ingegnere torinese, per ventidue anni editore del gruppo Espresso. “La Fiat, la Juve, la Ferrari. Dopo questa faccenda di Repubblica sarà difficile per lui in Italia. Non ha consensi. Non è amato”.
E allora, dice l’Ingegnere, ecco pronto il piano di fuga. “Si trasferirà a New York. E’ cittadino americano di nascita. Appena finita questa storia dei giornali, parte. A Torino è già ai servizi sociali, come Berlusconi a Cesano Boscone”. Il riferimento è alla vicenda ereditaria di Donna Marella, vedova dell’Avvocato, in cui il nipote John ha evitato il processo patteggiando un anno di lavori socialmente utili e versando 183 milioni di euro con i fratelli Lapo e Ginevra per chiudere il contenzioso sulla presunta evasione. “Fa il tutor per ragazzi problematici. Ma sarebbe lui ad aver bisogno di un tutor. Tutto quello che ha toccato lo ha rotto”, rincara De Benedetti. Atro che Gianni Agnelli: “Quello che rendeva Agnelli ‘Agnelli’ era l’essere amato. E ammirato”. Non un accessorio, ma parte del meccanismo del potere, “un capitale”, spiega evocando i quattrocentomila accorsi al Lingotto per i funerali dell’Avvocato.
Dal confronto, Elkann ne esce malissimo: “Tutto questo non ce l’ha nel repertorio, non ci ha nemmeno provato a farsi ben volere. E oggi se cammina per le strade di Torino non lo saluta più nessuno”. Mentre i simboli della popolarità – Fiat, Juventus, Ferrari, i giornali – sarebbero ormai logori. De Benedetti ricorda la vendita del gruppo editoriale dei figli: “Un colosso frantumato, indebolito, e infine venduto a pezzi”. E cita l’accusa di Carlo Calenda secondo cui Elkann avrebbe comprato Repubblica “per comprarsi il Pd e la Cgil”, replicando: “Bastava tenerlo in piedi quel gruppo. Senza toccarlo”. E poi tutto il resto: la Juve in gravi difficoltà, la Ferrari che “non ha vinto nemmeno un gran premio nel 2025”, la Fiat delocalizzata. Da qui la previsione: “Se ne andrà anche lui. Ha problemi con la giustizia. Metterà un oceano tra sé e i pm italiani”. Dove? “A New York, aspettate e vedrete”.
Eppure, distingue, Elkann “i soldi li ha fatti, eccome”. Exor è solida, e qualche talento va pur riconosciuto: “E’ bravo negli investimenti finanziari. E’ bravo quando non deve gestire nulla. Fa soldi vendendo. E investendo nel web”. Cita l’esempio israeliano di Via, “un’azienda fantastica che gli ha fruttato tanto”. Ma poi torna il giudizio sull’incapacità gestionale: “A un certo punto, aveva messo la stessa persona a occuparsi sia della Juventus sia di Repubblica… Quale qualità aveva costui? Era stato compagno di classe di John”. E la scalata al Corriere della Sera? “La fortuna del Corriere è che Elkann fallì. Quello che è successo a Repubblica sarebbe accaduto a loro”. Parlando di se stesso e dell’ipotesi di un suo possibile ritorno alla guida del quotidiano, liquida così: “Io? Ma lo sa quanti anni ho adesso? Ne ho novantuno”. Questione di “misura”, precisa. Resta il tifo per la Juve: “Sempre. Purtroppo. Con dolore”.