Cronaca

Truffa milionaria all’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze: 9 fermati. “Giro d’affari che ha fruttato 30 milioni in 6 mesi”

Gli indagati sono accusati di fatture false, riciclaggio e autoriciclaggio. Al centro dell'indagine l'onlus che si occupa della cattedrale fiorentina, del campanile di Giotto e del Battistero di San Giovanni

Ha fruttato 30 milioni di euro, in soli sei mesi, la truffa nei confronti dell’Opera di Santa Maria del Fiore, la onlus che gestisce la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni a Firenze. La polizia ha eseguito nove fermi di indiziato di delitto emessi dalla […]

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Ha fruttato 30 milioni di euro, in soli sei mesi, la truffa nei confronti dell’Opera di Santa Maria del Fiore, la onlus che gestisce la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni a Firenze. La polizia ha eseguito nove fermi di indiziato di delitto emessi dalla Procura di Brescia nei confronti di cittadini di varie nazionalità (italiani, albanesi, cinesi, nigeriani) nelle province di Brescia, Milano, Bergamo, Lodi, Prato, Rieti e Vicenza. Una decima persona risulta irreperibile. Sono accusati, a vario titolo di emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e autoriciclaggio.

La denuncia

L’inchiesta della Procura di Brescia, avviata a marzo scorso, ha preso spunto dalla denuncia del direttore dell’Opera Santa Maria del Fiore, Fabrizio Lucchetti: la onlus era stata indotta ad effettuare i bonifici di pagamento dei lavori, pari a 1.785.000 euro, a favore di un conto corrente fittiziamente intestato. Lucchetti raccontava, nella denuncia che risale all’agosto del 2024, di aver stipulato un contratto con una società edile per lo svolgimento di alcuni lavori di restauro e conservazione del Complesso Eugeniano di Firenze. Dalle indagini è emerso che i truffatori avrebbero intercettato lo scambio di email tra l’Opera e i soggetti con cui l’ente aveva rapporti economici e il bonifico da oltre 1,7 milioni di euro è stato dirottato su una società legalmente rappresentata da un bresciano di Lumezzane già con numerosi precedenti. Si tratta di una truffa nota come man in the middle o business e-mail compromise.

L’intervento in banca

L’uomo viene fermato pochi giorni dopo la denuncia nella filiale di una banca di Sarezzo, nel bresciano, per richiedere lo sblocco del conto corrente della sua società. Fa mettere a verbale di non essere in grado di fornire alcuna spiegazione in merito agli importi finiti sul suo conto corrente e specifica che erano “tutte operazioni finanziarie gestite da Antonio de Salvo“, uno dei nove fermati nell’ambito dell’inchiesta della procura di Brescia. Risentito dagli inquirenti alcuni mesi dopo, il bresciano – oggi indagato – dice: “De Salvo è un amico di vecchia data e mi propose a fronte di un compenso di 50mila euro di ricevere sul conto della mia società importi di denaro da una società di Firenze per trasferirli su conti correnti terzi dicendomi che quest’operazione doveva consentire a una società estera di de Salvo di acquistare dei terreni in Spagna. Non sapevo che il denaro fosse provento di illecita attività ma ne avevo solo il sospetto”. Una parte della somma truffata alla Onlus fiorentina, circa 300 mila euro, è stata recuperata dagli inquirenti.

Le nove persone fermate

In manette sono adesso finiti i fratelli Luca, 59 anni, e Daniele Bertoli, 65 anni, nati a Telgate nella Bergamasca. Poi Chunhui Hu, 44 anni, Shuzhen Hu, 71 anni, Huihui Hong, 38 anni, Weihong Xu, 31 anni, Denison Hiluku,35 anni, Jacopo Antonioli, 33enne di Calcinate, Abidemi Ouluwatosin Falana, 43 anni, e Antonino de Salvo, 56 anni. Secondo i pubblici ministeri di Brescia, Luca Bertoli aveva la disponibilità di conti esteri, emersi nel corso delle investigazioni. Nonostante delle prescrizioni imposte nei suoi confronti dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia che aveva firmato un divieto di allontanarsi dalla provincia di residenza e di frequentare soggetti pregiudicati, “l’imprenditore si è mosso recandosi più volte a Milano per formalizzare incontri finalizzati alla restituzione di denaro contante”. Secondo le intercettazioni era pronto a scappare dall’Italia: “Sto aspettando il 13 di pagarvi poi scappo, poi me ne vado”, ha detto. Daniele Bertoli è invece considerato fidato collaboratore del fratello, “dispone di una maggiore capacità di movimento” tanto che a lui sono state affidate “sortite all’estero per concretizzare operazioni bancarie con l’appoggio dei conti correnti stranieri, soprattutto in Polonia“.

A Milano il centro di stoccaggio del contante

La base del gruppo era in un appartamento di Milano intestato a una donna cinese e ritenuto da chi indaga “un vero e proprio centro di stoccaggio del denaro contante“. Il ruolo centrale sarebbe quello di due fratelli italiani, intermediari, capaci sia di individuare i clienti, sia di fornire proprie società cartiere intestate fittiziamente sia, da ultimo, di mettere in contatto gli imprenditori fruitori del servizio di fatture false con alcuni cittadini cinesi che vivono a Milano, Vicenza e Prato e che restituivano soldi in contanti. Sono stati scoperti conti correnti in Italia e all’estero tra Cina, Lussemburgo, Polonia, Germania, Spagna, Lituania, Nigeria e Croazia. Il pagamento in contanti sarebbe stato gravato da una percentuale per il servizio svolto oscillante tra il 2% e il 7% a favore dei cittadini cinesi e di un’ulteriore percentuale, pari al 2%, a favore dei due intermediari italiani. Secondo le indagini della Procura di Brescia, il gruppo avrebbe utilizzato uno schema ormai collaudato e avrebbe “operato per fornire la possibilità ad imprenditori italiani e albanesi compiacenti di ottenere la restituzione di importanti somme di denaro contante a fronte dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti prodotte da società cartiere”. Il denaro in contante veniva fornito principalmente da cittadini cinesi residenti a Milano, Vicenza e Prato. Nel corso delle perquisizioni (anche nei confronti di società con sede a Brescia, Milano e Bergamo) sono strati sequestrati oltre 500mila euro in contanti, che si aggiungono a quanto già sequestrato lo scorso settembre alla coppia di cinesi.

“La truffa all’onlus è l’incipit dell’intera indagine”

“La truffa all’onlus di Santa Maria del Fiore è soltanto l’incipit da cui poi si è sviluppata l’intera indagine”, spiega il procuratore capo di Brescia Francesco Prete. “Esponenti della comunità cinese stanno realizzando in Italia un sistema creditizio parallelo ed abusivo, ed è un dato confermato oramai da diverse indagini condotte da questa Procura della Repubblica”, ha aggiunto. Prete ha evidenziato anche che gli “operatori economici italiani, con facilità, si rivolgono ai cinesi per avere la liquidità di cui hanno bisogno”. “Non esagero se dico che questo sistema assume carattere transnazionale con tutte le difficoltà che ne conseguono”, ha concluso.

Una delle più antiche fabbricerie italiane

L’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze è una delle più antiche fabbricerie italiane, gli enti cioè che provvedono alla conservazione e al mantenimenti dei beni e dei luoghi sacri. Venne fondata dalla Repubblica Fiorentina nel 1296 per sovrintendere alla costruzione della nuova Cattedrale e del suo campanile. È un ente autonomo ed attualmente è soggetta, proprio come “fabbriceria”, alla Legge Concordataria del 1929. Dal 1998 l’Opera si configura giuridicamente come Organizzazione non a fini di lucro, regolata da un proprio statuto che definisce tra i suoi obiettivi istituzionali la “tutela, la promozione e la valorizzazione del suo patrimonio artistico”. Dal 1436, anno del completamento della cupola di Brunelleschi e della consacrazione della chiesa, il compito principale dell’Opera diviene quello di conservare il complesso monumentale. Nel 1777, anche il Battistero di San Giovanni entra a far parte del complesso dell’Opera e nel 1891 sarà istituito il Museo dell’Opera del Duomo.