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“Mera speculazione per una lucrosa rendita. Sottratte luce e aria al vicinato”, ecco perché il cantiere di via Anfiteatro 7 è stato sequestrato

Milano - Nel decreto il giudice Mattia Fiorentini - che cita la Cassazione utilizzata dai pm per la richiesta di misura - descrive l'intervento come frutto di atti manipolati, omissioni dei funzionari e violazioni urbanistiche mai interrotte dagli uffici del Comune nonostante inchieste e scandali
“Mera speculazione per una lucrosa rendita. Sottratte luce e aria al vicinato”, ecco perché il cantiere di via Anfiteatro 7 è stato sequestrato
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“Una ripulitura giuridica” per uno “scempio territoriale …intollerabile perché perpetrato in violazione anche dei doveri di solidarietà sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione”. Cita la Cassazione il giudice per le indagini preliminari di Milano, Mattia Fiorentini, nel decreto di sequestro del progetto di via Anfiteatro 7, richiamando le osservazioni dei pm che hanno chiesto di mettere i sigilli all’ennesimo cantiere dove il prezzo di partenza era 660mila euro ad appartamento.

Le riflessioni del giudice restituiscono la fotografia di un edificio di undici piani che cresce nel cuore di Milano come se fosse il risultato naturale di una semplice ristrutturazione, ma che invece rappresenta “uno stravolgimento della nozione di ristrutturazione edilizia”. Un’operazione che porta a “una mera speculazione edilizia, la cui unica ragione è la prospettiva della lucrosa rendita che deriva, ai danni del territorio, degli interessi della comunità dei residenti e del rispetto delle regole che li tutelano” secondo il giudice.

Le responsabilità del Comune per i pm

Il riferimento degli inquirenti alla giurisprudenza consolidata, riportata dal giudice, è specifico per chi doveva verificare tutte le autorizzazioni, ma anche agli imprenditori. Contesto che il giudice accoglie in toto, considerando “strumentale” la “presunta buona fede” invocata dai costruttori milanesi (“artefici di lottizzazioni e costruzioni abusive”), quando sostengono di essersi fidati degli “uffici comunali”, perché non sono “certo soggetti sprovveduti”, ma “professionisti e imprenditori assistiti da tecnici che governavano perfettamente la materia”. Il giudice ricorda anche l’ipotesi dei pm che sottolineano come nonostante gli scandali e inchieste “gli uffici del Comune di Milano non hanno messo in discussione le pratiche edilizie di cui è causa, perché ciò significherebbe ammettere di aver consentito l’incontrollata azione di falsificazione, nelle relative pratiche edilizie, che lo stesso caso di specie rappresenta. Opera di sfaldamento e falsificazione, protrattasi … per oltre un quindicennio che ha ad oggetto aree ed ambiti tra i più preziosi del centro storico ed identitario del territorio della città”.

Il gip e la ipotizzata speculazione

Un’operazione che porta a “una mera speculazione edilizia”. Ed è così che l’area di Via Anfiteatro 7 rappresenta il caso emblematico di come un intervento privato possa essere trasformato — almeno formalmente — in qualcosa di molto diverso da ciò che è nella realtà. Anche in questo caso specifico quindi un’operazione di maquillage normativo che, sulla carta, avrebbe permesso di far sembrare legittimo ciò che, nei fatti, si fonda su una radicale violazione delle regole che governano l’uso del territorio e anche del convivere civile. Il gip ricorda come “ancora, la situazione del cantiere è tale per cui le conseguenze pregiudizievoli della costruzione abusiva – in termini di sottrazione di aria e luce al vicinato e, più in generale, di implementazione del carico urbanistico – sono attuali e l’apposizione del vincolo reale richiesto è il solo strumento disponibile per limitarle”.

Una “speculazione edilizia” attuata attraverso passaggi amministrativi sfruttati in modo improprio, mentre le regole urbanistiche venivano piegate, omesse o reinterpretate per far rientrare l’intervento nei binari formali. Per questo che i pubblici ufficiali indagati sono accusati di aver “omesso diligentemente di rilevare la contrarietà del progetto alle norme tecniche e vigenti del PGT e di legge, che lo rendevano inammissibile ed affermandone la conformità, davano un’ingannevole e falsa rappresentazione dei fatti”.

Da ristrutturazione a nuovo edificio

Anche questo cantiere come tutti gli altri finiti nel mirino dei pm ruota attorno a una scelta preliminare: classificare l’intervento come una ristrutturazione. Una scelta decisiva, perché consente di procedere con una semplice segnalazione di inizio lavori invece che con un permesso più complesso e vincolato. Per chi indaga, oramai da anni su quella che è stata definita dallo stesso procuratore capo di Milano, Marcello Viola, una “incontrollata espansione edilizia”, quella classificazione è stata una forzatura, l’ennesima. Una trasformazione radicale, che avrebbe richiesto una procedura totalmente diversa e oneri ben più elevati. Questa “riqualificazione illecita”, come viene definita nel decreto, non è stata un errore formale: ha permesso di aggirare vincoli, autorizzazioni e costi, aprendo la strada a un intervento molto più consistente di quanto l’area potesse sopportare.

Un’area da preservare, trasformata in profondità

Il problema è che Via Anfiteatro 7 non è un luogo qualsiasi. Rientra in una zona classificata come “di recupero”, sottoposta a regole severe proprio perché custodisce edifici e tessuti urbani con valore storico. In queste aree, le trasformazioni profonde non sono consentite: si possono fare interventi di conservazione, si può restaurare, consolidare, adattare, ma non stravolgere. Le volumetrie non si toccano, la forma degli edifici nemmeno. Un intervento che, secondo la valutazione del giudice ha rotto l’equilibrio della zona e stravolto il suo carico urbanistico. Il progetto avrebbe un “effettivo impatto generato sul carico antropico del nuovo edificio… nel contesto di una zona… di per sé già densamente urbanizzata e satura” secondo chi indaga. Tra le contestazioni della Procura di Milano ci sarebbe anche la destinazione dell’area: il piccolo lotto su cui insistevano ruderi di edifici settecenteschi demoliti nel 2006 era stato acquisito dal Comune a prezzo di esproprio nel 1980 nell’ambito degli allora Piani di zona. Nel 2005 l’amministrazione lo avrebbe destinato a un progetto di “risanamento conservativo” per 9 case popolari all’interno di una disciplina che avrebbe vietato interventi senza piano attuativo o permesso convenzionato e messo dei limiti inderogabili di altezze, densità e standard minimi per la popolazione.

Documenti manipolati e controlli omessi: il ruolo dei funzionari pubblici

Gli accertamenti degli investigatori della Guardia di finanza, per chi indaga, hanno permesso di valutare come falsi alcuni degli atti utilizzati per portare avanti l’intervento. “Falsati o redatti in modo da rappresentare una conformità inesistente alle regole del Piano di Governo del Territorio”. Non si parla di semplici errori, ma di condotte che avrebbero agevolato il progetto, omettendo di segnalare criticità, approvando documenti non conformi e contribuendo a costruire un’apparenza di legalità dove, secondo il decreto, non ve ne era. Per il gip il titolo relativo alla Scia era “manifestamente e platealmente illegittimo in quanto formato in patente violazione di legge”. Una illegittimità concretizzatasi “attraverso uno stravolgimento della nozione di ristrutturazione edilizia, estesa ben oltre la sua portata letterale e i confini tracciati dalla giurisprudenza amministrativa e ordinaria”.

Il sequestro: fermare il cantiere per fermare l’illecito

Il cantiere era avviato. Nello scintillio verticale che ha caratterizzato gli ultimi anni di Milano stava per concretizzarsi anche questo progetto. Per il giudice, questo avanzamento costituiva un rischio immediato: con ogni piano da costruire aumenta la difficoltà di tornare indietro e si consolida l’effetto dell’irregolarità. Per Fiorentini il sequestro preventivo è necessario per evitare che l’abuso edilizio si protragga nel tempo e nello spazio. E mettere i sigilli al cantiere “è il mezzo per evitare che il reato sia portato ad ulteriori conseguenze”. Da qui la decisione di bloccare tutto, per impedire sia la continuazione dei lavori sia la vendita delle nuove unità residenziali. Con un ulteriore elemento: la legge prevede che edifici e terreni coinvolti in questo tipo di reati possano essere confiscati. Un motivo in più per intervenire prima che il cantiere si trasformi in un fatto compiuto difficile da rimuovere.

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