Gli australiani conoscono bene il digitale e sanno che il ban dei social non fermerà i loro figli
Sono passate poco più di 24 ore da quando in Australia è scattato il divieto per i ragazzi e le ragazze sotto i 16 anni di accedere alle principali piattaforme di social media, tra cui Tik Tok, Instagram, Facebook, X e YouTube. È il risultato di un lungo e tortuoso processo cominciato anni fa, quando gruppi di pressione composti da genitori e difensori dei diritti dei minori avviarono una campagna politica e di sensibilizzazione volta a proteggere la sicurezza, privacy e salute mentale dei teen-agers australiani.
Si tratta indubbiamente di una delle più profonde rivoluzioni sociologiche che questo paese, di solito piuttosto conservatore, abbia mai intrapreso, con una decisione che coinvolge circa un milione di utenti. Il primo ministro Anthony Albanese si è esposto in prima persona per promuovere tale divieto, invitando i ragazzi a dedicarsi allo sport, alla musica ed alla lettura per far fruttare il tempo che risparmieranno staccandosi da quei maledetti device che sembrano provocare mal di testa a molti genitori.
Per principio ed educazione sono generalmente contrario ad ogni forma di divieto, a meno che esso sia motivato da ragioni molto solide basate su evidenze scientifiche e dati consolidati che mostrino l’assoluta necessità di limitare le libertà individuali. Ed è forse su questo aspetto che la decisione del governo australiano mostra delle falle evidenti.
Quando scoppiò la pandemia, l’Australia adottò delle misure molto dure per proteggere la popolazione, inclusi lockdown estremamente lunghi in città come Melbourne, dove io risiedo. Una delle conseguenze di queste misure di salute pubblica fu il fatto che in quegli anni la popolazione australiana, ed in particolare i giovani, segnalarono un fortissimo disagio causato dall’isolamento, con un crescente impatto di problemi legati alla salute mentale (ansia, depressione, disordini alimentari, bulimia etc..). Basti pensare che quasi il 40% dei giovani australiani hanno avuto almeno un episodio di “mental disorder” durante il primo periodo del Covid, ed ovviamente l’onda lunga si è prolungata anche dopo la fine della pandemia portando molti a pensare che esista un’emergenza sanitaria di salute mentale nel paese.
Che tutto questo sia legato all’uso dei social media non è stato dimostrato. E una correlazione affidabile anche rispetto ad altri fenomeni, come il numero di suicidi tra i giovani australiani (circa 300 all’anno, di cui un terzo nella fascia di età sotto i 17 anni) non è stata ancora provata. Il governo ha commissionato degli studi che hanno evidenziato come una percentuale rilevante dei giovani sia stata esposta a contenuti potenzialmente dannosi sui social media ed ovviamente ha usato questi studi come base fondante di questa decisione. Il contro-argomento, relativamente ovvio, è che Internet è pieno di tali contenuti su tantissimi altri siti e, seguendo questa logica, si sarebbe dovuto porre un divieto esteso su qualsiasi attività online per i minori di 16 anni.
L’impressione è che il governo abbia lavorato su un’ipotesi di base, usando indicatori proxy che non analizzano la radice del problema ma intercettano qualche sintomo, per perseguire un’agenda politica che ponesse l’Australia al centro del mondo, almeno su questa tema. Vari governi nella regione ed in Europa (Nuova Zelanda, Malesia e Danimarca) hanno già dichiarato che seguiranno con attenzione i risultati di questa decisione e potrebbero adottare delle politiche simili.
Vivendo in Australia, devo ammettere come questo tema non sia stato al centro delle conversazioni al bar o sulla metro. Questo paese ha un alto livello di digital literacy e credo che la maggior parte dei genitori siano rassegnati all’idea che i loro figli, nonostante tali divieti, continueranno ad usare queste piattaforme con account fake ed altri trucchi di cui sono già piene le chat giovanili. Il che indicherebbe come una decisione politica stia cercando di forzare una cambio culturale e sociologico di cui la popolazione forse non sentiva il bisogno.