Nell’America di Trump crollano le inchieste sui reati fiscali: i federali vengono dirottati ai servizi di pattuglia
Il 17 ottobre 1931 Al Capone fu arrestato e condannato per reati fiscali, dopo numerosi tentativi andati a vuoto da parte dei federali. La vicenda, che tanto ha ispirato Hollywood, e che costituì un punto di svolta per gli investigatori americani nelle indagini a carico dei pezzi da novanta del crimine organizzato e della finanza, nell’America di Trump ha perso vigore.
Secondo una inchiesta dell’agenzia Reuters, le azioni penali federali per reati fiscali sono scese al livello più basso degli ultimi decenni, con un calo di oltre il 27%. Il motivo è da attribuire alla preferenza data dalla Casa Bianca al contrasto dell’immigrazione illegale e alla criminalità di strada.
Tagli significativi sono stati apportati all’unità investigativa Internal Revenue Service (IRS), con 330 unità in meno: a Washington, le nuove mansioni affidate agli investigatori prevedono anche pattugliamenti con gli agenti di polizia cittadina per fare fronte a quella che Trump ha definito la crisi della Capitale legata alla microcriminalità. L’IRS ha cercato di fare buon viso a cattivo gioco, mettendo a disposizione solo una parte delle sue forze. Ma Stephen Miller, collaboratore di Trump, si è apertamente lamentato e il numero dei funzionari destinato al pattugliamento è aumentato.
Nel contempo il Dipartimento di Giustizia ha chiuso la sua Divisione Fiscale; un terzo o più degli avvocati sono stati mandati via. In termini di numeri, le conseguenze sono queste: i procedimenti per reati fiscali dinanzi a Tribunali federali nel 2024, tra gennaio e l’inizio di novembre, erano stati 420; nel 2025 ne sono stati registrati 160.
La Reuters ha ottenuto conferme da più fonti: alti funzionari dell’amministrazione Trump hanno fatto sapere ai procuratori che le indagini fiscali non erano una priorità, mostrando scetticismo sulle inchieste a carico dei colletti bianchi e “sull’opportunità” di occuparsi di quei casi. Alla base c’è uno scontro politico tra la precedente amministrazione Biden, e quella attuale, che ha accusato l’ex presidente democratico di aver “militarizzato” il Dipartimento di Giustizia.
Una storia emblematica, in questo contesto, è quella di Roger Ver, noto anche come “Gesù Bitcoin”, investitore di criptovalute. In un video, Ver ha affermato di essere stato preso di mira dal Dipartimento di Giustizia che gli imputava di non aver pagato decine di milioni di dollari in tasse. Per difendersi dalle contestazioni, “Gesù Bitcoin” si è rivolto all’avvocato Chris Kise, legato a Donald Trump. Reuters sottolinea che in ottobre Kise e un alto funzionario del Dipartimento di Giustizia che in precedenza aveva rappresentato Ivanka Trump, hanno raggiunto un accordo di sospensione dell’azione penale nei confronti di Ver; lui, in cambio, ha versato quasi 50 milioni di dollari.
Ufficialmente, la portavoce del Dipartimento di Giustizia, Natalie Baldassarre, ha affermato che questo nuovo assetto “non avrà alcun impatto sulla capacità degli avvocati civili e dei procuratori di portare avanti la propria missione di far rispettare in modo equo e coerente le leggi fiscali nazionali”. Ma tra le dichiarazioni governative e ciò che poi accade nella realtà a volte c’è un solco profondo, e certamente i federali dell’IRS che assistono gli agenti per effettuare arresti su strada di irregolari, accattoni o scippatori non avranno poi il tempo di inseguire gli Al Capone degli anni 2000.