
Con tutto il rispetto e la sensibilità per la comunità ebraica, è difficile sostenere che, numeri alla mano, l’antisemitismo sia oggi l’emergenza principale in Italia
Come si fa a non notare la coincidenza tra l’iperattivismo parlamentare degli ultimi tempi per contrastare l’antisemitismo e la cronologia del genocidio a Gaza? Il ddl Delrio è solo l’ultimo arrivato, ma il primo, a firma del leghista Leone, venne depositato due giorni dopo la prima udienza contro Israele alla ICJ dell’Aia, nel caso portato dal Sudafrica. Sospetto a mio avviso quel tempismo, e quello degli altri sul ddl, così come sono sospette le reali intenzioni del blocco politico trasversale: qual è l’obiettivo?
Le motivazioni addotte, francamente, fanno acqua da tutte le parti. E con tutto il rispetto e la sensibilità per la comunità ebraica, è difficile sostenere che, numeri alla mano, l’antisemitismo sia oggi l’emergenza principale in Italia: il punto è che l’antisemitismo è un tema posto con la forza in cima all’agenda da quasi tutto l’arco parlamentare, come se l’impennata dei crimini d’odio, veicolati soprattutto dal web, non sia un fenomeno strutturale ma un qualcosa che riguarda e colpisce solo gli ebrei.
Prendiamo le campagne d’odio contro musulmani, rom, persone LGBTIQ e migranti: sono alimentate quotidianamente da politici nazionali e figure istituzionali, senza che questo generi alcuna mobilitazione per una tutela speciale. Vi ricordate,- l’altro ieri – come venivano derisi e linciati commentatori, opinionisti e accademici che parlavano di “razzismo strutturale”, “patriarcato” e persecuzione nei confronti dei musulmani? Abbiamo una lunga lista di rappresentanti istituzionali di ogni ordine e grado che, ogni giorno, passano il tempo a fomentare odio contro gruppi ben precisi, senza che alcuna legge speciale venga pensata per proteggere quelle categorie. Vi immaginate un parlamentare che presentasse un ddl a tutela della comunità Rom?
Questa accelerazione improvvisa per una legge speciale contro l’antisemitismo e i pochi argomenti che giustificano misure così drastiche, non può che apparire sospetta: la fonte unica del ddl Delrio per giustificare la necessità di un intervento immediato – da quanto si desume nel preambolo al testo della norma – sono i report del Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC), una Fondazione tutt’altro che equidistante.
Dice il direttore della Fondazione, Gadi Luzzatto Voghera, che tra le altre cose siede anche come direttore della sezione italiana dall’IHRA: “Succede in tutte le guerre moderne (che la gente muoia, nota mia)… Per dire dei più recenti massacri di civili, è successo non più tardi di due anni fa a Mariupol, in Ucraina, dove sono morti non meno di 35.000 civili (…). In Israele, dove centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case e a rifugiarsi in zone più protette, subendo comunque continui bombardamenti che proseguono anche in questi minuti. La guerra, quindi, colpisce in maniera tragica soprattutto le popolazioni civili. Tutte le popolazioni civili”.
Delrio e Sinistra per Israele dicono “lotta all’antisemitismo”, ma intendono lotta ai pro-Palestina. Anche il consigliere comunale di Milano Daniele Nahum, ex Pd, ora in Azione, esponente della comunità ebraica meneghina, lo dice apertamente in un’intervista a La Stampa: “Definire Israele uno Stato ‘razzista’ o ‘colonialista’ non è critica politica, è negare la sua legittimità storica. E questo sfocia nell’antisemitismo.”
Non può esistere, in una vera democrazia, un dibattito sanitizzato sul piano dei contenuti: a risentirne, laddove la legge stabilisca cosa si possa o non si possa dire è il sistema per intero: è lecito criticare la reazione – o la non-reazione – della comunità ebraica mondiale davanti al genocidio; è lecito domandarsi se l’esistenza di Israele nelle forme attuali sia compatibile con un sistema internazionale basato sulle regole. Non è certamente antisemita definire Israele uno Stato che pratica apartheid o uno Stato genocida: non è illegale.
I preamboli dei ddl – da quella di Scalfarotto a quella di Gasparri – entrano a gamba tesa sulla libertà di espressione, provando a limitarla con leggi ordinarie. In quei preamboli si citano cifre allarmistiche sull’emergenza, senza mai entrare veramente nel merito: quanti casi riguardano crimini d’odio contro persone perché ebree? E quanti, invece, riguardano ostilità verso lo Stato di Israele per il trattamento riservato ai palestinesi? In nessuno dei ddl la parola “Palestina” compare. Ma come si fa a parlare di Israele senza parlare di Palestina?
Vogliono introdurre un divieto di critica nei confronti di uno Stato con cui l’Italia continua a fare affari, affari che non ha sospeso nemmeno nel momento più drammatico del massacro di Gaza. E, soprattutto, imporre una marcatura stretta ai luoghi dove possono nascere idee critiche, come le università. Del resto, il sospetto che si voglia mettere sotto sorveglianza accademici e studenti che protestano per la Palestina, perché le agitazioni negli atenei di mezza Europa hanno messo a rischio gli accordi Horizon (il protocollo UE di associazione con Israele nel campo dell’“innovazione”, dove l’industria bellica ha un ruolo decisivo), è più che legittimo.