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“Vicini a un accordo in Ue sull’utilizzo degli asset russi congelati”. Ma il Belgio minaccia azioni legali in caso di approvazione

Decisivo, da quanto si apprende, potrebbe essere già il Consiglio europeo del 18-19 dicembre, quando si arriverà a una scelta politica per stabilire su quale architettura lavorare nelle settimane successive, aprendo la strada a un lungo ciclo di negoziati tecnici

L’Unione europea è pronta ad assumersi il rischio dell’utilizzo degli asset russi congelati come garanzia ai prestiti per il futuro sostegno all’Ucraina. Secondo il Financial Times e altre fonti Ue citate da Ansa, esiste una “chiara maggioranza” tra i 27 Stati membri d’accordo sull’utilizzo dei beni di Mosca, nonostante il rischio, in caso di accordo […]

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L’Unione europea è pronta ad assumersi il rischio dell’utilizzo degli asset russi congelati come garanzia ai prestiti per il futuro sostegno all’Ucraina. Secondo il Financial Times e altre fonti Ue citate da Ansa, esiste una “chiara maggioranza” tra i 27 Stati membri d’accordo sull’utilizzo dei beni di Mosca, nonostante il rischio, in caso di accordo di pace, di dover restituire i 210 miliardi in questione. Sarebbe quindi superata l’opposizione non solo di Paesi come Ungheria e Slovacchia, contrari all’imposizione di nuove sanzioni nei confronti della Federazione, ma anche del Belgio che, attraverso Euroclear, detiene 185 miliardi di questi fondi e, in caso di restituzione, rischierebbe, come dichiarato da esponenti del governo di Bruxelles, “la bancarotta“. Ma proprio il governo di Bruxelles minaccia azioni legali nel caso in cui la proposta venisse approvata.

Decisivo, da quanto si apprende, potrebbe essere già il Consiglio europeo del 18-19 dicembre, quando si arriverà a una scelta politica per stabilire su quale architettura lavorare nelle settimane successive, aprendo la strada a un lungo ciclo di negoziati tecnici: anche in caso di accordo, il nuovo schema non potrà comunque essere operativo dal primo gennaio, ma sarà invece necessario tempo, dato che la trasposizione nazionale sarà diversa in ogni Stato membro e in molti casi richiederà interventi legislativi nei Parlamenti nazionali.

In caso di intesa, però, il processo assumerebbe un’accelerata decisiva. La fiducia espressa dalle fonti citate è anche legata al fatto che la decisione non richiederebbe una maggioranza assoluta in Consiglio, ma solo quella qualificata. Un obiettivo che, evidentemente, è considerato raggiungibile, dato che in questi giorni i vertici Ue e le principali cancellerie europee, Germania in testa, hanno lavorato per rendere il piano digeribile anche per il Belgio, ipotizzando ad esempio una redistribuzione delle responsabilità tra gli Stati che compongono l’Ue. Il Financial Times spiega che, per aggirare le minacce di veto di Viktor Orban, verrebbe usato l’articolo 122 del Trattato che permette di approvare misure di emergenza economica a maggioranza qualificata, non all’unanimità.

Pronto a combattere per evitare che la proposta passi, nonostante i tentativi di persuasione da parte dei vertici Ue e di Paesi come la Germania, è il Belgio che detiene la quasi totalità dei beni congelati. Il primo ministro Bart De Wever non esclude ricorsi legali se costretto ad accettare l’utilizzo dell’articolo 122 del Trattato, con una decisione Ue a maggioranza qualificata e non all’unanimità, per finanziare il prestito di riparazione all’Ucraina basato sugli asset sovrani russi. Il ricorso a tale articolo “si avvicina a una misura sanzionatoria“, ha detto, e per questo dovrebbe richiedere l’unanimità. Ha ribadito comunque la volontà di trovare una soluzione che consenta di continuare il sostegno finanziario a Kiev. “Il Belgio è sempre un Paese che vuole arrivare a una soluzione a livello europeo e una buona soluzione – ha aggiunto – Non ritengo che questa sia la soluzione giusta. Se numerosi Paesi vogliono avanzare verso il prestito di riparazione, ho detto chiaramente alla signora von der Leyen e al signor Merz che esistono tre condizioni cruciali”. Che nello specifico sono: una mutualizzazione del rischio, la messa a disposizione immediata di liquidità qualora il Belgio dovesse essere chiamato a restituire le somme prelevate (o anche di più, secondo il trattato bilaterale sulla protezione degli investimenti con la Russia), una ripartizione equa del rischio di contromisure russe. “Se riusciremo a garantire queste tre condizioni entro il 18 dicembre (data del prossimo vertice europeo), è possibile che daremo la nostra approvazione. Non è nel dna del Belgio comportarsi in Europa come l’Ungheria. Ma resto scettico. C’è molto lavoro da compiere in una settimana. Continuo quindi a sostenere un’altra soluzione”. Quanto al futuro, per De Wever questi asset sovrani saranno probabilmente parte di un accordo di pace perché “è improbabile che la Russia subisca una sconfitta militare“. “Per me questa guerra deve concludersi al più presto con un trattato accettato dall’Ucraina e dall’Europa e non solo dalla Russia e dagli Stati Uniti. È probabile che tali asset vi siano inclusi. Che la Russia vi rinunci mi pare poco verosimile”.

Un’idea del rischio che i Paesi europei si assumerebbero in caso di utilizzo degli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina lo dà la European Trade Justice Coalition (Etjc), rete europea di ong e gruppi della società civile di monitoraggio sulle politiche commerciali Ue, secondo la quale ci sono già arbitrati per oltre 53 miliardi in Europa di oligarchi o aziende colpite dalle sanzioni alla Russia. Oltre la metà dei 28 ricorsi è stata avviata o annunciata formalmente nel 2025, in molti casi tramite società registrate in Paesi Ue come Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria o Regno Unito. Tra i casi più rilevanti citati dall’analisi figurano la richiesta di circa 13,7 miliardi di euro presentata dall’oligarca russo Mikhail Fridman contro il Lussemburgo e la minaccia di causa della compagnia petrolifera russa Rosneft alla Germania per la messa sotto tutela dei suoi asset per quasi 6 miliardi di euro. In Belgio, quattro investitori russi hanno notificato l’intenzione di avviare arbitrati collegati ai loro fondi bloccati presso Euroclear, mentre in Francia risultano due ricorsi da parte di uomini d’affari russi sanzionati.