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La strage senza fine dei giornalisti palestinesi. Rsf: “67 cronisti uccisi nel 2025, la metà a Gaza da Israele”

Il report annuale: "Il numero è tornato a crescere, a causa delle pratiche criminali delle forze armate regolari e non e della criminalità organizzata". La Siria resta il Paese con il più alto numero di professionisti dei media scomparsi

Una strage senza fine. Anche il 2025 si conferma un anno di sangue per i giornalisti palestinesi che rappresentano quasi la metà di tutti i cronisti uccisi nel mondo. Ne parla Reporter senza frontiere nel bilancio che pubblica ogni dicembre e che fotografa le violenze subite dai cronisti di tutto il mondo. Secondo Rsf sono […]

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Una strage senza fine. Anche il 2025 si conferma un anno di sangue per i giornalisti palestinesi che rappresentano quasi la metà di tutti i cronisti uccisi nel mondo. Ne parla Reporter senza frontiere nel bilancio che pubblica ogni dicembre e che fotografa le violenze subite dai cronisti di tutto il mondo. Secondo Rsf sono 67 i professionisti dei media uccisi dal 1 dicembre 2024 al 1 dicembre 2025. Di questi quasi la metà, ossia 29, è stata freddata dall’esercito israeliano nella striscia di Gaza. Si tratta del 43%. Il 79% (53) è stato vittima della guerra o delle organizzazioni criminali. Un numero che, spiega l’organizzazione, “è tornato a crescere, a causa delle pratiche criminali delle forze armate regolari e non e della criminalità organizzata“, spiega l’associazione secondo la quale “i giornalisti non muoiono, vengono uccisi”. Un massacro che va avanti anche dopo il cessate il fuoco: il 2 dicembre infatti un drone ha colpito e ucciso il fotoreporter palestinese Mohammed Wadi.

“L’esercito israeliano è il peggior nemico dei giornalisti”, sostiene Rsf. In tutto, in due anni di bombardamenti su Gaza, l’Idf “ha ucciso quasi 220 giornalisti nella Striscia di Gaza, di cui almeno 65 sono morti a causa del loro lavoro”. L’organizzazione ricorda poi l’attacco israeliano all’ospedale Nasser, noto per ospitare uno spazio di lavoro per giornalisti, del 25 agosto. “Israele ha ucciso il fotografo di Reuters Hossam al-Masri. La giornalista Mariam Abu Dagga — che lavorava per diversi media, tra cui The Independent Arabia e Associated Press — si trovava sul posto per documentare le operazioni di soccorso. Otto minuti dopo il primo attacco, è stata uccisa da un secondo bombardamento insieme ad altri due giornalisti: il freelance Moaz Abu Taha e il fotografo di Al Jazeera Mohamad Salama“.

Anche in Messico il rischio per chi fa informazione è altissimo. Il Paese è afflitto dai cartelli della droga e il 2025 è stato l’anno più mortale degli ultimi tre per i giornalisti. “Questo fenomeno – spiega Rsf – si sta diffondendo, riflettendo la crescente messicanizzazione dell’America Latina: le Americhe rappresentano il 24% dei giornalisti uccisi in tutto il mondo”.

Nel frattempo, 503 giornalisti sono dietro le sbarre in tutto il mondo. Inoltre, a un anno dalla caduta di Bashar al-Assad, molti dei giornalisti arrestati o catturati sotto il suo regime rimangono introvabili, rendendo la Siria il Paese con il più alto numero di professionisti dei media scomparsi.

“Questi sono i risultati a cui conduce l’odio verso i giornalisti – il commento di Thibaut Bruttin, direttore generale di Rsf -. Ha portato alla morte di 67 giornalisti quest’anno: non per caso, e non erano vittime collaterali. Sono stati uccisi, presi di mira per il loro lavoro. È perfettamente legittimo criticare i media: la critica dovrebbe servire come catalizzatore per il cambiamento, garantendo la sopravvivenza della stampa libera, un bene pubblico. Ma non deve mai degenerare in odio verso i giornalisti, che nasce in gran parte — o viene deliberatamente alimentato — dalle tattiche delle forze armate e delle organizzazioni criminali”.

“Questo è dove ci porta l’impunità per questi crimini – prosegue Bruttin -: il fallimento delle organizzazioni internazionali, ormai incapaci di garantire il diritto dei giornalisti alla protezione nei conflitti armati, è la conseguenza di un declino globale del coraggio dei governi, che dovrebbero attuare politiche pubbliche di protezione. Testimoni chiave della storia, i giornalisti sono diventati gradualmente vittime collaterali, testimoni scomodi, pedine di scambio, pedine nei giochi diplomatici, uomini e donne da ‘eliminare’. Dobbiamo diffidare delle false concezioni sui reporter: nessuno dona la propria vita per il giornalismo — essa viene loro tolta; i giornalisti non muoiono semplicemente — vengono uccisi.”