Cop30, in Amazzonia indigeni e attivisti uniti nel Vertice dei popoli: il soffio della foresta salverà il pianeta
di Silvia Zaccaria
La “Cop della verità”, come l’ha definita Lula nella cerimonia di apertura dell’evento, è iniziata per me con una videochiamata con Davi Kopenawa, leader e sciamano yanomami noto a livello mondiale da quando fu protagonista del Vertice della Terra/Eco-92 di Rio. Più di trent’anni dopo il Brasile torna ad essere protagonista del dibattito sul futuro dell’Amazzonia e del Pianeta. Gli domandavo per quando fosse previsto il suo arrivo a Belem: “Ho preso una brutta influenza a Brasilia, ma ci sarò… Lì ho respirato molta benzina; con il clima secco la terra si surriscalda ed emette un mefitico odore di petrolio”.
Nella parte finale del suo discorso Lula ha citato proprio uno dei passaggi più famosi di Kopenawa: “Il pensiero nelle città è oscurato, offuscato ed ostacolato dal rumore delle macchine”, nella speranza che invece “la serenità della foresta possa infondere in ciascun partecipante la chiarezza di pensiero necessaria per vedere” quale strada percorrere per invertire la rotta.
La Ministra dell’ambiente Marina Silva, in un emozionante incontro con i rappresentanti del Consiglio Nazionale dei seringueiros per rendere omaggio alla memoria di Chico Mendes, ha affermato che sarebbe stata la luce della poronga (lampada usata nel lavoro notturno dai raccoglitori di caucciù nelle foreste dell’Acre da cui tanto Silva che Mendes sono originari), ad illuminare il cammino.
Mentre Davi è stato coinvolto nelle consultazioni nella parte ufficiale dell’evento, i suoi “parenti”, soprattutto dello stato del Parà di cui Belem è la capitale e dagli stati confinanti di Amazonas, Tocantins, Maranhão, Amapà e Mato Grosso si sono ritrovati nel “Vertice dei popoli”. Sono Kayapò, Wai Wai, Katxuyana – per citarne alcuni. Per l’evento inaugurale avevano solcato le acque del fiume Guamà oltre 300 imbarcazioni, tante quante sono le lingue parlate dai popoli indigeni, per celebrare simbolicamente la diversità socioculturale del Paese che fa da specchio a quella naturale.
Mentre fuori risuona il ritmo del Carimbò, genere musicale e danza tipica della regione, nei vari spazi di dibattito, le rivendicazioni di tutti quei gruppi sociali “periferici” – indigeni ma anche pescatori tradizionali, ribeirinhos, raccoglitrici di cocco – che, paradossalmente, proprio per essere gli ultimi custodi del pianeta, maggiormente subiscono le aggressioni del capitale, si sono mescolate ed amplificate. Sulle t-shirt erano impressi slogan che invocano giustizia: “Nessuno profani la tua terra”; “Silenzio, la terra sta parlando”, “La morte della foresta è la fine della nostra vita” fino a “dal fiume al mare Palestina Libera”, che assume un significato particolarmente forte qui dove le acque dolci del Rio delle Amazzoni con tutti i suoi affluenti si uniscono a quelle dell’Oceano.
Tra la folla ho visto delle giovani Munduruku filmare un coro di bambini e il canto mesto di un pescatore del rio Tocantins che sembrava quasi un lamento per la morte dell’ambiente naturale della sua infanzia, che gli ha garantito sinora cibo e lavoro. Presto il “Pedral do Lourenço”, una conformazione geologica di 35 km verrà letteralmente fatta esplodere per consentire, anche nella stagione secca, il passaggio sul fiume Tocantins delle grandi navi cariche di soia e altre commodities dal centro sud verso il porto di Barcarena, da dove vengono esportate. Il ritornello recita “Lourenço, Lourenço”, perché in Amazzonia persino le rocce hanno un nome.