
Il papà del piccolo Giovanni, Paolo Trame, aveva messo nero su bianco nelle carte della causa di separazione: “Se succederà qualcosa di terribile qualcuno dovrà risponderne”
“O Giovanni rimane con me, oppure sono disposta a uccidere il bimbo, a uccidere me, buttandomi in mare, e a uccidere anche Paolo”. Olena Stasiuk, la donna di 55 anni che ha ucciso il figlio Giovanni di nove anni tagliandogli la gola con un coltello da cucina lo aveva detto e lo ha fatto. La frase – non è l’unica minaccia proferita – fu pronunciata l’11 luglio 2018 e fu verbalizzata dai Servizi sociali quando le fu prospettato il possibile affido esclusivo del bimbo al padre. Proprio il papà di Giovanni, Paolo Trame, affida al parroco di Muggia (Trieste) don Andrea Destradi, le sue parole e un rimpianto: “Il grande rammarico legato al fatto che alla madre sia stato consentito di vedere il bambino senza protezione”. Don Andrea ha raccolto le parole sul suo stato emotivo, “completamente devastato”. Il sacerdote è in costante contatto con il genitore del piccolo Giovanni.
Il bimbo è stato ucciso due giorni fa dall’ex moglie dell’uomo, Olena Stasiuk, con un taglio alla gola. Il piccolo era da solo a casa della madre, tra i due ex coniugi era in corso da 8 anni una battaglia legale. “Quella donna è pericolosa, non lasciate che veda nostro figlio da sola”, ha ricostruito Paolo Trame, rivolgendosi a giudici e assistenti sociali. Come scrive Repubblica, il papà del bimbo aveva messo nero su bianco il suo terrore in un documento giudiziario del 2021. “Se succederà qualcosa di terribile qualcuno dovrà risponderne”. L’uomo nutriva “certezze motivate da violenze e minacce documentate”. Ora le carte della causa di separazione sarebbero al vaglio della procura di Trieste che ha aperto un fascicolo sulla morte del piccolo Giovanni. La madre è stata arrestata con l’accusa di “omicidio volontario pluriaggravato”. Già nel giugno del 2023, secondo il papà, “ha tentato di strozzare” il figlio. Il bambino era finito al pronto soccorso dell’ospedale cittadino con lividi sul collo e a una mascella. Nei prossimi giorni, come da prassi, potrebbe arrivare una relazione al ministero della Giustizia in merito ai permessi rilasciati dal Tribunale civile di Trieste: successivamente il ministero potrebbe valutare l’invio di ispettori.
La donna ha assunto farmaci contro la schizofrenia ed era stata in cura presso il Centro di salute mentale. Aveva più avvolte avvertito che “se io muoio, Giovanni muore con me”, riporta Repubblica. Oltre a minacciare il suicidio ai giudici del tribunale civile e agli assistenti sociali del Comune di Muggia: “Se non mi date l’affidamento di mio figlio – ammoniva la donna – mi butto nel mare e mi annego assieme al bambino”. Ma la precaria salute mentale della madre aveva indotto il tribunale dei minori ad affidare il piccolo Giovanni alle cure del padre: per Olena era scattato il divieto di stare da sola con il figlio. Un’altra batosta, per una donna in serie difficoltà economiche e senza un lavoro fisso. Tanto da perdere la casa e finire in un dormitorio pubblico.
Solo grazie ai 250 euro mensili del marito la donna sarebbe riuscita a pagare l’affitto di una casa. Grazie alla nuova dimora, dal 2021 il tribunale aveva concesso alla donna di vedere il figlio 3 volte a settimana, ma solo alla presenza degli assistenti sociali. E proprio in quell’appartamento si è consumato l’omicidio del bambino. Già da settimane la madre poteva vedere il figlio da sola, mentre il padre invano si sarebbe opposto. La decisione è stata assunto da Filomena Piccirillo – la giudice della causa civile di separazione – dopo la consulenza tecnica della psicologa Erika Jakovic. Proprio il 12 novembre, il giorno del delitto, era attesa una decisione sull’affido definitivo: rinviata al prossimo febbraio.