Diritti

Il dossier francese sul calvario dei migranti tra Mentone e Ventimiglia: “Violata la loro dignità”

L’Ispettore Generale dei Luoghi di Privazione della libertà traccia un quadro impietoso: venti persone costrette in altrettanti metri quadrati, accesso ai servizi igienici dietro permesso, nessuna attenzione particolare a chi dichiara di essere minorenne. E chi è respinto in Italia si ritrova sotto i viadotti dell'autostrada in mezzo ai topi

Senza un documento non sei una persona. Non puoi avere il permesso di soggiorno, avere diritti, essere trattato come una donna e un uomo. Al confine tra Italia e Francia questo accade: la tua sorte è appesa a un foglio di carta. Se non hai i documenti, sei trattato come nemmeno le bestie. È una linea invisibile il confine tra i due paesi europei. Italiani e francesi ormai lo superano ogni giorno senza nemmeno accorgersene. È il segno dell’Europa unita, pur tra mille fatiche. Ma se sei un migrante il confine diventa un muro. Da una parte vogliono che tu vada via, dall’altra non vogliono che tu arrivi. Per tutti sei un indesiderabile.

Basta un viaggio lungo la frontiera tra Italia e Francia per rendersene conto. È sotto gli occhi di tutti. Ma adesso è scritto nero su bianco nei rapporti che l’Ispettore Generale dei Luoghi di Privazione della libertà francese ha redatto in questi mesi (sono consultabili sul sito cglpl.fr). Uno riguarda Mentone (accanto a Ventimiglia) e l’altro la zona del Monginevro, vicino al Piemonte. I due principali punti di passaggio per i migranti che dal nostro Paese cercano di arrivare oltre le Alpi. Qui dove decine e decine di persone sono morte: annegate, investite dai treni sulla ferrovia, travolte dalle auto sull’autostrada, precipitate dai sentieri delle Alpi Marittime, congelate o disperse mentre con vestiti di fortuna provavano a superare passi coperti di neve a più di duemila metri di quota.

Qui alcuni trovano finalmente una liberazione. Molti, però, vengono fermati e vedono il loro sogno scontrarsi con una durissima realtà. “L’Europe est-elle vraiement comme ça?”, l’Europa è davvero così’, chiedeva al cronista un migrante sudanese fermato al confine di Bardonecchia. Respinto dai gendarmi francesi e dagli agenti italiani e infine rinchiuso in una stanza. Lo stesso sconcerto pare animare gli ispettori francesi che si sono trovati davanti alla spietatezza del proprio Paese: uomini rinchiusi in prefabbricati di lamiera. Esseri umani esposti ai fattori atmosferici, come all’arbitrio (e talvolta alla violenza) delle forze dell’ordine. Scrivono gli ispettori a proposito del Monginevro: “Le condizioni di detenzione dei detenuti violano gravemente la loro dignità. I locali sono inadeguati, sottodimensionati e privi delle attrezzature essenziali. La polizia di frontiera dispone di cinque unità di detenzione: tre celle all’interno dell’edificio e due strutture modulari recintate (una per adulti e una per minori) situate sul retro dell’edificio… Le strutture modulari sono poco adatte alla permanenza prolungata di persone, soprattutto a causa dei rigidi inverni alpini a un’altitudine di 1.800 metri, nonostante un sistema di riscaldamento che fatica a mantenere caldi questi spazi. In estate, il caldo diventa rapidamente insopportabile. Ogni unità modulare ha una superficie di 20 metri quadrati e un piccolo cortile… Il registro rivela che fino a venti persone possono essere ospitate in un’unica unità modulare, inclusa quella riservata ai minori non accompagnati”.

Sì, avete letto bene: venti persone in venti metri quadrati. Un metro quadrato a testa, per resistere ore e ore. Talvolta giorni. Per dormire, anche, seduti per terra. In mezzo a persone che non si conoscono. Per non dire delle risse, delle violenze e degli abusi di ogni genere che avvengono in queste specie di gabbie, talvolta perfino al buio. E pensare che tanti sono minori: “Coloro che dichiarano di essere minori vengono separati dagli adulti, ma la loro vulnerabilità non riceve alcuna attenzione particolare e la loro assistenza non è diversa da quella degli adulti: le stesse strutture scadenti, nessuna disposizione specifica per pasti, igiene o assistenza sanitaria”. Ancora: “L’unità modulare per adulti contiene tre letti con materassi in schiuma e panche. È inoltre dotata di due tavoli, ma non di sedie, e di una fontanella”. Il bagno è in un locale adiacente, spesso non raggiungibile senza autorizzazione. “L’unità modulare per minori non accompagnati non contiene letti. È dotata di una fontanella, otto materassi sul pavimento, cinque panche e un tavolo. Uno dei due interruttori della luce è difettoso e le prese elettriche non funzionano. L’unico bagno – una toilette chimica portatile utilizzata nei cantieri edili – è situato nel recinto accanto a questa stanza”. Insomma, condizioni peggiori di quelle di un carcere. Per persone colpevoli soltanto di cercare un destino migliore.

Non va meglio a Mentone (dove pure il numero dei migranti è calato da 41.497 nel 2023 a 10.505 nel 2024), come ha riportato anche l’edizione ligure di Repubblica. “Le condizioni sono spaventose. Queste persone vengono prese, arrestate e messe in unità modulari, tipo container”, ha dichiarato l’ispettore Dominique Simmonot alla radio francese Ici Azur. Il rapporto riporta: “È sporco, non c’è un pulsante di chiamata per andare in bagno. Per chiedere un bicchiere d’acqua, bisogna bussare alle porte”. Il dossier dell’autorità garante francese racconta che a Mentone ogni cella ha una superficie di appena 7 metri quadrati. Qui arrivano a essere rinchiuse fino a cinque persone. Anche qui il garante sottolinea pratiche delle forze dell’ordine contrarie alla legge, come la “palpazione” in pubblico, magari davanti ai figli minori, degli adulti fermati.

Una totale sospensione dello Stato di diritto: “Nel 2024 – racconta il rapporto redatto al confine del Monginevro – qui sono passate 4.572 persone, di cui 1.462 dichiaravano di essere minori non accompagnati. Tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2025, sono state arrestate 1.359 persone, di cui 476 dichiaravano di essere minori”. Gli ispettori annotano: “È con piena cognizione di causa degli agenti”, che qui non vengono garantiti “i diritti all’assistenza legale, medica e alla notifica dei provvedimenti alle autorità consolari dei paesi di provenienza dei migranti”. Nemmeno vengono rispettati i limiti di tempo previsti per il trattenimento ai fini del riconoscimento e dell’accertamento dell’identità.

I migranti senza permesso sembrano non essere più persone. E colpisce, nelle parole degli stessi ispettori, la scoperta di un volto dello Stato che non conoscevano. Il tentativo di salvare l’idea del proprio Paese: “Il trattamento dei migranti dà un’immagine della Francia che non è quella che dovrebbe essere, perché la Francia è un Paese magnifico”. Un rapporto che trova pieno riscontro nell’esperienza del cronista che nel 2024 era riuscito a visitare il container di lamiera che ospitava i migranti: uno spazio senza neppure il soffitto, con una semplice grata che faceva entrare la pioggia e il caldo rovente. Senza servizi igienici. Per non dire dell’atteggiamento talvolta violento degli agenti francesi.

Ma non va molto meglio in Italia. A Ventimiglia decine di migranti vivono in mezzo ai topi sotto i viadotti dell’autostrada. Quando sono respinti dai francesi e affidati alle autorità italiane finiscono magari in alloggi di fortuna nell’entroterra ligure: fino a dodici persone in ogni stanza, in appartamenti privi di arredamento, talvolta senza vetri. Manca perfino il cibo. Vivono così per mesi, abbandonati a loro stessi, senza nemmeno una persona che li assista. Spesso costretti a trascorrere le giornate a dormire, alcuni imbottiti di ansiolitici. Non c’è allora da stupirsi se in tanti tentano di passare il confine rischiando la vita. Chi scrive ha visto decine di migranti salire fino al villaggio di Grimaldi – poco lontano da Ventimiglia – e qui, da un varco nelle reti, entrare in autostrada e correre per chilometri sui viadotti in mezzo ad auto e tir in corsa, pur di arrivare in Francia. Magari per essere subito fermati e rispediti in Italia.

Il cronista, ancora, ha avuto la sorte di accompagnare un gruppo di migranti in una notte d’inverno al Monginevro. Ore e ore a camminare con le scarpe da ginnastica, a trascinare una valigia che sprofondava nella neve e conteneva tutta la loro vita: vestiti, ricordi, fotografie della famiglia. Gelo, fatica da vomitare, il cuore che ti batteva nelle tempie, terrore ogni volta che dal bosco arrivava un rumore. Fino a quell’ultima curva in mezzo ai larici: “Siete in Francia”, aveva detto Fabien, il volontario che li accompagnava. Ma c’era buio, troppo buio per vedere l’espressione delle donne e degli uomini arrivati dall’Africa fin lassù. Soltanto le lacrime gelate che luccicavano.