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Per l’Europa diritti umani e clima tornano negoziabili: un enorme dietrofront

L’Europa, che ama definirsi leader globale nella lotta al cambiamento climatico e nella tutela dei diritti umani, ha messo così in vendita i suoi stessi principi
Per l’Europa diritti umani e clima tornano negoziabili: un enorme dietrofront
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di Giorgia Ceccarelli, Business and Human Rights Policy Advisor di Oxfam Italia

Non sono passati nemmeno due anni da quando la direttiva europea sulla due diligence per la sostenibilità delle imprese (Corporate Sustainability Due Diligence Directive – CSDDD) veniva celebrata come una delle conquiste politiche più significative a livello comunitario della storia recente. Oggi però c’è ben poco da festeggiare, dato l’enorme passo indietro con il voto di giovedì del Parlamento europeo, che ha approvato una proposta di deregolamentazione – contenuta nel pacchetto di semplificazione legislativa sulla finanza sostenibile (il cosiddetto Omnibus I) – che modifica e indebolisce i principali pilastri dell’impianto normativo europeo sulla sostenibilità, inclusa appunto la CSDDD.

Una scelta che segna un preoccupante cambio di rotta politico e culturale, visto che è stata di fatto smantellata l’unica norma capace, almeno sulla carta, di imporre finalmente alle grandi imprese il rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali lungo l’intera filiera che porta i prodotti fino a noi. Una regolamentazione che rappresentava una conquista storica, frutto di anni di pressioni da parte della società civile e dei lavoratori, che avrebbe finalmente ridotto le zone grigie su cui prosperano sfruttamento, devastazione ambientale e impunità.

L’alleanza senza precedenti tra estrema destra e Ppe
Il voto del Parlamento è avvenuto in un clima avvelenato da mesi di pressioni, tattiche di ostruzionismo e narrazioni tossiche sulla “competitività” da tutelare a tutti i costi. Il risultato? Per la prima volta, la norma è passata grazie a un’inedita alleanza tra il Partito Popolare Europeo (Ppe) e i gruppi di estrema destra euroscettici. Un drammatico precedente per una forza politica che si definisce “pro-europea”, come il Ppe, che ora sceglie di mettere a rischio i capisaldi che hanno reso l’Ue più di un semplice mercato: la tutela delle persone, dei lavoratori, dell’ambiente.

Il messaggio politico è chiaro: la difesa dei diritti umani è tornata ad essere negoziabile. Le lobby delle grandi imprese possono festeggiare: hanno ottenuto l’impossibile. E lo hanno ottenuto proprio nel momento in cui l’Europa avrebbe dovuto fare l’esatto contrario.

Che cosa contiene l’Omnibus I: i tre colpi al cuore della direttiva sulla sostenibilità d’impresa
Le modifiche introdotte stravolgono l’impianto originario della direttiva. I punti più critici sono tre.

1. L’eliminazione dei piani di transizione climatica. L’Omnibus I cancella infatti ogni obbligo per le imprese di dotarsi di un piano di riduzione delle emissioni. Può sembrare un dettaglio tecnico; non lo è. È il segnale, pessimo e pericoloso, che l’Europa non intende più chiedere al proprio tessuto produttivo di contribuire realmente alla lotta climatica, proprio mentre il continente registra temperature che sfondano stabilmente il limite di +1,5°C, rispetto all’era pre-industriale.

2. L’abolizione della responsabilità civile armonizzata in Europa. Senza un regime comune di responsabilità civile per i danni causati dalle aziende, in molti Paesi europei, compreso il nostro, le migliaia di vittime di violazioni lungo le filiere — braccianti sfruttati, comunità inquinate, lavoratori invisibili — continueranno ad avere tutele a macchia di leopardo, spesso inesistenti. Un paradosso in un mercato unico che pretende uniformità per le merci, ma non per i diritti.

3. La riduzione dell’ambito di applicazione della CSDDD. Il campo di applicazione della direttiva, che già coinvolgeva appena lo 0,05% delle aziende europee, viene ristretto ulteriormente, esentando la stragrande maggioranza delle grandi imprese dagli obblighi di due diligence. Un regalo alle aziende che operano nei settori a maggior impatto sociale e ambientale.

Un’Europa meno credibile
Quello votato dal Parlamento europeo non è stato quindi un semplice ritocco tecnico a una direttiva scomoda. È stato un test di maturità politica e l’Unione Europea, ancora una volta, ha scelto di non crescere. L’attacco ai meccanismi di responsabilità delle imprese ha ignorato persino i ripetuti richiami provenienti da istituzioni autorevoli come la Banca Centrale Europea e da oltre 30 ex leader europei, che hanno messo in guardia contro una deregolamentazione pericolosa e miope, come quella prevista dall’Omnibus I.

L’Europa, che ama definirsi leader globale nella lotta al cambiamento climatico e nella tutela dei diritti umani, ha messo così in vendita i suoi stessi principi. Nel momento in cui le evidenze scientifiche — come ricorda anche l’ultimo rapporto di Oxfam sulle emissioni dei super-ricchi — mostrano che la crisi climatica è trainata proprio dai finanziamenti alla industrie del carbone, petrolio e gas, l’Europa non può permettersi di arretrare. Bruxelles, che in questi giorni alla Cop30 in Brasile dovrebbe guidare la transizione climatica e sociale, rischia di perdere così ogni credibilità.

La società civile come ultimo argine
Se questa direttiva avrà un futuro, non lo avrà certo grazie alle istituzioni, ma nonostante le istituzioni. Oxfam insieme alle organizzazioni della Campagna Impresa 2030 continueranno a chiedere ciò che qualsiasi democrazia sana considererebbe il minimo sindacale:
– regole comuni che garantiscano l’accesso alla giustizia;
– piani climatici che non siano un atto volontaristico;
– un campo di applicazione che non lasci zone franche per lo sfruttamento.
In altre parole: dignità, giustizia e responsabilità. Parole semplici, che oggi in Europa sembrano diventate rivoluzionarie.

Una direttiva da ricostruire prima che sia troppo tardi
Ogni legislazione racconta un’epoca. La prima versione della direttiva sulla due diligence raccontava un’Europa che provava, con mille difetti, a restare all’altezza dei propri valori. Il voto di giovedì racconta invece un continente ripiegato, impaurito, disposto a sacrificare il futuro per compiacere il presente.

Non è una pagina gloriosa. Ma è comunque una pagina che può ancora essere riscritta. A condizione che non smettiamo di ricordare all’Europa ciò che sembra aver dimenticato: i diritti umani non sono un ostacolo alla competitività, bensì ciò che dà senso alla nostra idea di democrazia.

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