L’Ue punta ad aiutare Kiev con gli asset russi congelati, ma il Belgio pone tre condizioni: questione di credibilità
di Giacomo Gabellini
Il 19esimo pacchetto di sanzioni alla Russia adottato recentemente dall’Ue ha aperto il varco al disegno di legge predisposto dal Consiglio d’Europa, che affida alla Commissione Europea il compito di fornire le basi giuridiche per l’erogazione di una linea di credito a favore di Kiev da 140 miliardi di euro garantita dagli asset pubblici russi sottoposti a congelamento dal marzo 2022. Si parla di 185 miliardi di dollari di beni depositati soltanto in Euroclear, società di compensazione finanziaria con sede in Belgio, la cui affidabilità risulta strettamente vincolata all’osservanza del principio di neutralità e delle norme giuridiche vigenti in materia di custodia dei titoli.
L’escamotage individuato dagli specialisti europei per aggirare il problema consiste nel subordinare la restituzione dei fondi russi impegnati a garanzia del prestito alla disponibilità di Mosca a rifondere riparazioni di guerra a beneficio dell’Ucraina. De facto, tuttavia, l’iniziativa promossa dal Consiglio d’Europa contempla un esproprio forzoso di proprietà a danno dello Stato russo. Finora, l’Unione Europea si era “limitata” all’implementazione di un meccanismo di sequestro, trasferimento sul bilancio comunitario e reimpiego sotto forma di assistenza nei confronti dell’Ucraina degli interessi e dei redditi generati dagli asset russi depositati presso Euroclear e altri istituti di credito. Redditi e interessi non rientrano infatti nella categoria di “proprietà sovrana”, a differenza del capitale originario che li produce.
Agire unilateralmente su quest’ultimo significherebbe violare deliberatamente il pilastro giuridico dell’immunità sovrana degli Stati, esponendo nella fattispecie il Belgio a colossali richieste di indennizzo per inadempienza agli obblighi contrattuali e condannando l’Unione Europea a una perdita definitiva e irreparabile di credibilità internazionale.
L’Ufficio Federale di Giustizia svizzero lo aveva già rilevato nel 2023, sottolineando che “l’espropriazione di beni privati di lecita provenienza senza indennizzo non è consentita dal diritto svizzero. La confisca di beni privati bloccati è incompatibile con la Costituzione Federale e l’ordinamento giuridico vigente. Viola inoltre gli impegni internazionali della Svizzera. Altri Paesi godono di diritti e garanzie costituzionali analoghi”.
Le autorità belghe sono approdate a conclusioni sostanzialmente analoghe, ponendo per tramite del primo ministro Bart De Wever tre condizioni vincolanti per la concessione del proprio via libera: “Mutualizzazione del rischio, garanzie concrete da parte di tutti i Paesi in materia di contribuzione a fronte di eventuali rimborsi e impiego di tutti i beni russi immobilizzati, anche al di fuori del territorio belga. Se queste tre ragionevolissime richieste saranno soddisfatte, allora potremo andare avanti. In caso contrario, farò tutto ciò che è in mio potere a livello europeo, anche a livello nazionale, politicamente e giuridicamente, per bloccare questa decisione”. Anche perché “subiremo enormi richieste di risarcimento. Vogliamo garanzie circa il fatto che, qualora il denaro debba essere restituito, tutti gli Stati membri contribuiscano. Le conseguenze non possono riguardare solo il Belgio. Inoltre, ogni Paese che ha immobilizzato beni si muova insieme a noi, perché noi siamo gli unici, Euroclear è l’unica istituzione finanziaria che offre extraprofitti all’Ucraina. Sappiamo che ci sono ingenti somme di denaro russo in altri Paesi che sono sempre stati silenziosi al riguardo. Se ci muoviamo, dobbiamo farlo tutti insieme. Questa è la solidarietà europea”.
L’irremovibilità di De Wever – definito un “bad boy” dalla rivista Politico per via del suo “ostruzionismo” – ha fin da subito palesato la conclamata indisponibilità alla condivisione dei rischi da parte di diversi Stati. I dubbi e timori generalizzati nei confronti dell’impianto tecnico-giuridico predisposto dalla Commissione Europea ha pregiudicato qualsiasi possibilità d’intesa collegiale in merito all’impiego a beneficio dell’Ucraina dei fondi russi congelati. Come si legge all’interno della dichiarazione finale del summit del 23 ottobre, sottoscritta da 26 dei 27 leader europei (Ungheria astenuta), “il Consiglio d’Europa invita la Commissione a presentare, il prima possibile, proposte di sostegno finanziario basate su una valutazione delle necessità dell’Ucraina, e invita le parti coinvolti a portare avanti i lavori affinché il Consiglio d’Europa possa tornare su questa questione nella sua prossima riunione”, prevista per dicembre. Permane, nel documento, il passaggio alquanto vago secondo cui: “fatto salvo il diritto dell’Unione Europea, i beni della Russia dovrebbero rimanere congelati fino a quando Mosca non porrà fine alla sua guerra di aggressione contro l’Ucraina e non verserà i danni causati dalla sua guerra”.
A dispetto delle implicazioni potenzialmente catastrofiche, il presidente Macron e il cancelliere Merz hanno sostenuto la confisca degli asset russi, di cui i vertici dell’Unione Europea stanno cercando di imporre la digestione ai governi più recalcitranti. Lo rivela Politico, secondo cui “l’Unione Europea è in corsa contro il tempo su due fronti. In primo luogo, l’Ucraina è destinata a esaurire i fondi entro la fine di marzo. In secondo luogo, il processo decisionale potrebbe presto diventare molto più difficile, dal momento che l’Ungheria sta tentando di unire le forze con la Repubblica Ceca e la Slovacchia, così da formare un’alleanza scettica nei confronti dell’Ucraina. Molti ritengono che occorra agire ora o mai più”.
Dal momento che l’eccessiva indisciplina fiscale di diversi Paesi europei rende estremamente ardua la costruzione di un consenso unanime attorno alla prospettiva degli eurobond, la requisizione dei beni russi viene inesorabilmente a configurarsi come l’unica soluzione alternativa per garantire sostegno all’Ucraina.