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In Italia rischio di povertà e disuguaglianza superiore alla media Ue: i nuovi indicatori Istat sul benessere

Il rapporto sul Benessere equo e sostenibile: sui 137 dimensioni analizzate, poco più di un terzo nel 2024 mostra un progresso significativo, un quarto peggiora e quasi il 40% resta fermo
In Italia rischio di povertà e disuguaglianza superiore alla media Ue: i nuovi indicatori Istat sul benessere
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Il nuovo rapporto Bes sul Benessere equo e sostenibile dell’Istat fotografa un Paese in cui il benessere è a macchia di leopardo. Dei 137 indicatori analizzati, poco più di un terzo (34,3%) mostra un progresso significativo rispetto all’anno precedente, mentre un quarto peggiora e quasi il 40% resta fermo. Nel lavoro migliorano 7 indicatori su 13 ma 5 vanno indietro, nella qualità dei servizi il bilancio è perfettamente diviso, istruzione e formazione crescono solo nella metà dei casi. Sicurezza e politica e istituzioni sono invece le aree con più segnali negativi. Nel lungo periodo, però, il quadro sembra più incoraggiante: oltre metà degli indicatori ha una tendenza positiva, mentre solo 16 mostrano un arretramento strutturale.

La geografia del benessere conferma divari profondi. In tutte le regioni del Nord e del Centro – con l’unica eccezione del Lazio – almeno il 60% degli indicatori registra livelli migliori della media nazionale, con picchi oltre il 70% nelle province di Trento e Bolzano, in Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Nel Mezzogiorno avviene l’opposto: in Campania e Puglia più di sette indicatori su dieci segnano valori peggiori del dato Italia.

È nel capitolo Benessere economico che emergono i segnali più critici. Nel 2024 il rischio di povertà è salito al 18,9%: quasi un italiano su cinque vive con un reddito insufficiente a raggiungere uno standard di vita accettabile. Siamo oltre due punti sopra la media dell’Unione europea (16,2%) e il divario non si riduce. Anche la disuguaglianza del reddito netto supera quella europea: il rapporto tra il 20% più ricco e il 20% più povero è 5,5 contro 4,7 nell’Ue a 27.

Le associazioni dei consumatori accusano il governo di aver concentrato gli effetti del taglio Irpef previsto dalla manovra 2026 sui redditi medio-alti, ignorando chi scivola sotto la soglia di rischio. Secondo l’Istat, l’85% del beneficio dell’intervento sulle aliquote andrà ai due quinti più ricchi ella popolazione. Mentre chi vive nelle fasce più deboli resta esposto alla perdita di potere d’acquisto che negli ultimi anni ha colpito soprattutto il lavoro a bassa qualificazione. “Il governo con questa manovra abbandona al loro destino queste persone, aggravando il problema“, attacca Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Il ministro Giorgetti, quindi, invece di attaccare a sproposito Bankitalia e Istat per aver dato i numeri, quelli esatti, farebbe meglio a rendersi conto che se non sono i ricchi quelli che guadagnano 45mila lordi, anche se certo non rientrano il quel 18,9% di italiani a rischio povertà, lo sono certamente quelli che dichiarano 200mila euro. Dare a queste persone poco più di 400 euro significa buttare i soldi dalla finestra. Almeno sterilizzi il taglio dell’Irpef sopra i 50mila euro”.

Ci sono ambiti in cui le cose vanno meglio. Il sovraccarico del costo dell’abitazione – cioè la quota di famiglie che spendono più del 40% del reddito per la casa – è tre punti sotto la media Ue; meglio della media anche la deprivazione materiale e sociale e la difficoltà ad arrivare a fine mese. Sul fronte demografico-sanitario l’Italia continua a distinguersi positivamente: mortalità evitabile più bassa della media europea, speranza di vita a 84,1 anni contro gli 81,7 dell’Ue27 e uno dei tassi di omicidi più contenuti del continente.

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