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L’ossessione amorosa dietro a ‘Estinzione’ di Francesco Mazza. Ci sarà mai un lieto fine?

Sembra una storia crudelissima il romanzo appena uscito per La nave di Teseo. Al centro dell’ordito una storia d’amore
L’ossessione amorosa dietro a ‘Estinzione’ di Francesco Mazza. Ci sarà mai un lieto fine?
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Sembra una storia crudelissima, Estinzione di Francesco Mazza, romanzo appena uscito per La nave di Teseo. Lui, formidabile autore tv, si rivela lo scrittore implacabile di questi anni, di questa asintomatica umanità, inebetita dalla stupidità di un modernismo senza numi, senza retro-ragioni che ne giustifichino l’inutilità, l’avversità ancor meglio al nostro destino ultimo: l’amore, le relazioni, un tramato di vicende, una successione di tappe o stazioni, cioè la vita. E le vicende raccontano una storia d’amore, se vogliamo semplificare le intenzioni deducibili, emergono a tratti simili a un giudizio severissimo, inchiodano il massimo dell’efficienza di esistenze varie ed eventuali, fino alla stupidità. E alla fine verrebbe da chiedersi: e l’uomo, dov’è?

Una storia d’amore, dunque, al centro dell’ordito. Per quel che vale, aggiungerei, pretestuoso, credo, per dire molto altro. Lui e lei. Lei, Alisia, somiglia molto alla Laide di Buzzati ne Un amore. Inafferrabile, acerba, compromessa, distratta. Svuotata come chi riesce a sopravvivere oltremodo, bianca e caduca, la caducità sensuale di un’altra eroina prossima, l’Andreina di Moravia, de Le ambizioni sbagliate, per una speciale emotività, dedita alla menzogna, talmente aspra e imprimente da diventare un totem, paradossalmente, icastica, intoccabile. La Laide come Alisia o viceversa, Alisia come Andreina, distanti dal mondo seppure dentro, afflitte o inflitte dal medesimo, in una mappatura di avventate, spregiudicate, velocissime amenità.

Abilissimo Francesco Mazza a disegnare la personalità dei figuri anonimi circostanti, nell’elevare lei miticamente, in una repulsa che diventa divinazione. Lui e lei. Estinzione è la storia di un’ossessione, quindi, l’ossessione amorosa, l’unico male che non rivendichi un esito, una guarigione, il riposo, la pace. Nulla. Il combattimento non risparmia tutti i colpi bassi concepibili, stilisticamente funzionano parecchio. È un romanzo che leggi vorticosamente, mentre ti accompagna una angoscia che non vuoi tradurre, liquiderebbe la questione con un’alzata di spalle: sarebbe tutta qui la vita?

Ci sarà mai un lieto fine? Le domande che procura la lettura, piccole spine che si conficcano fastidiosamente a ogni chiusa di capitolo, magari sono l’esatta mistura di consapevolezza e tragicità, di un sentimento confuso che si amalgama, si assomma, ai piedi delle pagine di Francesco Mazza. Il colpo di coda alla fine di una lettura che soltanto a un primo registro superficiale sembrerebbe affilata e violentemente ironica. In realtà è definitivamente drammatica e spietata. Violentemente perché non si vorrebbe sorridere affatto al golem dell’uomo contemporaneo, il guitto caricaturale che si guarda allo specchio e ci restituisce Francesco Mazza, con la leggerezza di una passeggiata sopra la corda tesa di un abisso.

Vale la pena la lettura? Assolutamente, consigliata assieme al romanzo precedente con cui Mazza ha esordito: Il veleno nella coda. Sorprendente l’esordio, confermato da questa seconda prova narrativa. Tanto che il critico Giovanni Pacchiano ha definito il romanzo “la coscienza di Zeno dei nostri giorni”.

Buona lettura.

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