Gli Stati Uniti boicottano la valutazione periodica del Consiglio dei diritti umani dell’Onu
Nessuna valutazione sui diritti umani negli Usa. Gli Stati Uniti hanno boicottato l’Universal Periodic Review del Consiglio dei diritti umani dell’Onu. La decisione li rende l’unico Paese membro, oltre a Israele nel 2013, a non aver partecipato da quando il sistema è stato creato nel 2006. Lo avevano annunciato già ad agosto 2025, denunciando la “politicizzazione” dei diritti all’interno dell’organizzazione. A febbraio Washington aveva inoltre ordinato il ritiro da vari organismi delle Nazioni Unite, tra cui proprio l’Human Rights Council, di cui erano un Paese “osservatore”. Ora l’esame, dopo la diserzione, è rimandato al 2026. Sempre che gli Usa cambino idea.
La riunione si è tenuta venerdì 7 novembre a Ginevra nel Palazzo delle Nazioni. Il Consiglio effettua un’analisi qualitativa tra pari dello stato di diritto di ogni Paese ogni 4 anni, valutando i progressi e verificando l’adesione agli obblighi in materia. “Avremmo dovuto incontrarci oggi per procedere. Tuttavia, noto che la delegazione non è presente in questa sala”, ha affermato il presidente Jurg Lauber. Gli Stati Uniti non hanno nemmeno presentato il rapporto nazionale richiesto dalla procedura, obbligatoria per tutti i 193 membri dell’Onu. In una nota, la missione statunitense ha accusato l’Onu di “fingere di preoccuparsi per i diritti umani”, mentre “consente ai veri violatori di nascondersi dietro la sua protezione”, denunciando anche “continui pregiudizi verso Israele”.
“È una grandissima delusione”, dichiara Uzra Zeya, direttrice dell’Ong Human rights first. “È un pessimo segnale che indebolisce un sistema che ha contribuito a rafforzare i diritti umani in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti”. L’organizzazione non governativa ha presentato nel tempo vari rapporti sulle presunte violazioni dei diritti umani commesse dagli Usa dopo il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.
In una nota il Consiglio ha espresso “rammarico” per la decisione e ha esortato Washington a “riprendere la sua cooperazione“. Il presidente del Consiglio, si legge nella nota, è invitato ad adottare “tutte le misure e i passi appropriati, in conformità con il suo mandato, per sollecitare a riprendere la cooperazione”. Nella riunione si è quindi deciso di riprogrammare l’esame al 2026, durante la 53a sessione del Gruppo di lavoro. Lasciando aperta la possibilità di effettuarlo anche prima.
La defezione americana preoccupa ma non sorprende. Nel 2018, durante la prima presidenza Trump, l’allora ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Nikki Haley aveva già ventilato questa possibilità, accusando il Consiglio di essere “protettore di chi viola i diritti umani e un pozzo nero di pregiudizi politici“. Nel suo discorso, la repubblicana aveva criticato l’atteggiamento dell’organo nei confronti di Israele e l’ammissione, nell’ottobre 2017, della Repubblica Democratica del Congo. A questo era tuttavia seguito un cambio di rotta, con il riavvicinamento al multilateralismo durante la presidenza di Joe Biden e nel 2021 la candidatura al seggio dichiarata dall’ex Segretario di Stato Antony Blinken.
Fino al ritorno di Trump e all’inesorabile scollamento tra Usa e organizzazioni intergovernative. A settembre il tycoon ha attaccato l’Onu direttamente dal pulpito del Palazzo di Vetro. “Quale è lo scopo della Nazioni Unite? L’Onu scrive lettere, ma le parole vuote non risolvono la guerra“, ha affermato il presidente in quell’occasione. Un discorso di oltre un’ora in cui il presidente ha rivendicato il proprio sovranismo: “È ora di porre fine all’esperimento fallito delle frontiere aperte. Dovete porvi fine adesso”. Il ritiro dai vari organismi, fino al boicottaggio degli strumenti di monitoraggio previsti, è solo l’ultimo passaggio di questo percorso.