Cronaca

La mappa italiana del rischio in bicicletta: più incidenti al Nord, più ciclisti morti al Sud – I dati dall’Atlante del Politecnico e le infografiche

Il gruppo di lavoro del Dipartimento di Architettura e Studi urbani ha mappato gli incidenti in bicicletta che si sono registrati dal 2014 al 2023. Prima regione è la Lombardia, con Milano in testa. I ricercatori: “Da qui possibili soluzioni per una mobilità più sicura”

Quanto è pericoloso spostarsi in bici? Dove si registrano più incidenti? Risposte basate sui dati arrivano dal primo Atlante italiano dei morti e dei feriti gravi in bicicletta, realizzato dal Competence centre on anti-fragile territories (Craft) del Politecnico di Milano. Il gruppo di ricerca, guidato da Paolo Bozzuto, docente del dipartimento di architettura e studi urbani del Politecnico, con Fabio Manfredini, Emilio Guastamacchia e Shidsa Zarei, restituisce una mappatura dell’incidentalità ciclistica in Italia. Partendo dai dati Istat sugli incidenti stradali sono state realizzate cinque dashboard interattive e gratuite che riportano dinamiche, numeri, giorni e orari degli incidenti in bici dal 2014 al 2023, su scala comunale, provinciale e regionale. Da qui emerge un fenomeno complesso: il 68,42 per cento degli incidenti in bici è causato dall’impatto con auto, in particolare da scontri frontali-laterali. La regione con più incidenti è la Lombardia, con 41.502 casi, seguita da Emilia-Romagna (30.447) e Veneto (23.139). Ma i numeri si invertono per quanto riguarda la mortalità e il Sud passa in vetta. In media, quasi la metà delle vittime – 43,36% – sono uomini di oltre 65 anni. Le strade più pericolose sono quelle rettilinee a doppio senso, seguite da incroci e rotonde. Giorno nero per i ciclisti è il sabato mattina, con il picco di incidenti registrato tra le 11 e le 12 (oltre 2.400), seguito dal tardo pomeriggio del martedì e del mercoledì (alle 18 si registrano in media 2.265 incidenti). La prima città italiana per tasso di incidenti è Milano, con 10.372 casi (un quarto degli incidenti lombardi) seguita da Roma (3.457) e Padova (3.132) ma quella in cui si muore di più, anche in base al numero di abitanti, è Enna, nel cuore della Sicilia.

L’idea di mappare gli incidenti è nata due anni fa tra i ricercatori del Politecnico di Milano. “Siamo anche ciclisti e in occasione di una delle tante tragedie in città abbiamo deciso di capire meglio il fenomeno” racconta l’architetto urbanista Emilio Guastamacchia. Analizzare questi incidenti significa tuttavia incappare in un ritardo di un anno e mezzo, visto che l’unica fonte è l’Istat e i dati del 2023 sono usciti nella primavera del 2025, arrivati “dalle polizie locali di tutti i comuni, che devono inserire le informazioni sugli incidenti”. Inoltre, solo per il biennio 2022-2023 è possibile geolocalizzare gli incidenti. Dalla ricerca emerge un primo fattore: molti incidenti avvengono in città trafficate e movimentate come Milano e Roma, ma anche in luoghi più piccoli e caratterizzati da un ampio uso della bici, come Padova. Il primato di Milano si può spiegare partendo dalla sua conformazione, essendo una città “molto piccola e densa, con una maglia fitta e una superficie stradale maggiore su cui possono avvenire gli incidenti” spiega Guastamacchia. Dopo il Covid la città ha registrato un incremento dell’uso della bici, “grazie a progetti di ciclabilità importanti, come su Corso Buenos Aires e verso Sesto San Giovanni, e le bike lane, corsie ciclabili tracciate da linee. Questo ha aumentato la ciclabilità ma rimane una città abbastanza pericolosa, per tutti gli utenti della strada”, aggiunge l’urbanista. Se è vero che i numeri più alti sono nelle grandi città, nei piccoli centri del Nord è più diffuso spostarsi in bici e di conseguenza aumenta il tasso di incidentalità. È il caso di Ferrara, che ha alti livelli sia di incidentalità ciclistica (al 21 per cento) che di uso della bici (al 13,5 per cento). “Questo aumenta la possibilità statistica e numerica di incorrere in incidenti” spiega Guastamacchia. La contraddizione riguarda anche altre cittadine del Nord come Ravenna e Bolzano. Se si incrociano questi fattori a livello regionale, a spiccare per uso della bici è l’Emilia-Romagna, in vetta anche per tasso di incidentalità (al 19 per cento), con 3.253 incidenti registrati. Su questo fronte si muovono in direzione contraria le regioni del Sud, che hanno indici di spostamenti in bici ben al di sotto dell’1 per cento, numeri che si trovano anche salendo verso Lazio, Abruzzo e al Nord solo in Liguria.

La mappa cambia ancora se ci si focalizza sul numero di ciclisti che perdono la vita negli incidenti: a colorarsi di rosso sono le regioni del Sud. “Questi numeri mostrano un fenomeno complesso e contraddistinto da molteplici fattori che possono essere la tipologia di strade presenti, le piste ciclabili, la velocità delle auto” spiega il ricercatore. Sul tema delle strade, occorre tener presente che la maggior parte degli incidenti avviene su rettilinei a doppio senso di marcia. Non è dunque il maltempo a provocare gli incidenti, visto che in 141.012 casi sono avvenuti su strade asciutte e con il cielo sereno, quanto lo stato delle strade, la loro larghezza e la velocità di auto e moto. In media lo scontro con l’auto è la casistica più diffusa – tanto da provocare in tutto 112.544 incidenti, 813 ciclisti morti e 79.456 feriti – tuttavia la percentuale scende nella prima regione per numero di incidenti, la Lombardia e cresce al Sud: in Calabria supera il 70 per cento, in Sardegna il 73 per cento, in Puglia oltre il 77 per cento, contro la media nazionale del 68 per cento. “Ci sono regioni nel Nord dove ci sono più feriti, mentre il Sud si contraddistingue per indice di mortalità” evidenzia Guastamacchia. A seconda che si tratti di feriti o morti, le varie regioni si colorano di giallo o rosso. Se l’indice di lesività maggiore lo registrano Basilicata, Trentino-Alto Adige e Veneto, per la mortalità invece è il Sud a raggiungere un livello medio, con picchi di rosso. Partendo da Latina, l’indice diventa più scuro nelle province di Caserta, Campobasso e Foggia. Maglia nera è la Calabria, con Vibo Valentia che registra il 12 per cento di mortalità, ben al di sopra della virtuosa Reggio Calabria, ferma all’1,43 per cento. Anche la Sicilia vive una situazione frammentata, tra la mortalità bassa della media regionale (all’1,94 per cento) e il rosso scuro di Enna, che con il suo 17,65 per cento ottiene il primato nazionale. Questi indici ribaltano la situazione della prima regione per numero di incidenti, la Lombardia, che ha il 97 per cento di lesività ma appena l’1 per cento di mortalità.

Nelle città, dunque, avviene il maggior numero degli incidenti e spesso a far la differenza è il fattore velocità. Proprio sulla riduzione dei limiti ha lavorato il comune di Bologna che ha introdotto nel 2024 il limite di 30 km all’ora. Secondo i dati dell’amministrazione, questo ha consentito di ridurre gli incidenti del 13 per cento in un anno, del 48 per cento il numero di morti sulle strade, del 16 per cento quello di pedoni coinvolti. Mentre è aumentato del 10 per cento l’uso della bici. Per cercare di rendere meno rossa la mappa degli incidenti ciclistici, secondo i ricercatori occorre anche cambiare la percezione della strada: “Non esiste un utente che può prevaricare sull’altro – spiega Guastamacchia – C’è la necessità di una sensibilizzazione dal punto di vista culturale nel pensare che muoversi richieda attenzione, sia in auto che in bici”. Poi subentra la conformazione delle città. Secondo la federazione italiana ambiente e bicicletta, Fiab, è ancora possibile rendere le strade alla portata di tutti, non solo degli automobilisti: “Si può limitare la velocità introducendo degli ostacoli fisici, come i cuscini berlinesi e i dossi” sostiene il presidente Luigi Menna che evidenzia anche l’importanza di piste ciclabili separate dalla strada. Secondo gli architetti, occorre integrare la mobilità dolce nei progetti di trasformazione e rigenerazione delle città. “Bisogna essere attenti alla rete esistente. Le piste che si fermano improvvisamente in corrispondenza del confine comunale mettono in evidenza l’incapacità delle istituzioni di ragionare in modo integrato” afferma Guastamacchia. Anche secondo la Fiab “serve una rete ciclistica che abbracci le città e che colleghi le periferie, come il modello che si sta realizzando a Roma del grande raccordo anulare delle bici o Cambio, il biciplan che collega la città metropolitana di Milano” spiega Menna. Si può cambiare il volto delle città anche guardando a modelli europei come Parigi, che ha pedonalizzato strade del centro e ha una ciclovia di oltre 450 km che collega il centro città a Mont Saint-Michel, e la Spagna: “A Valencia e Siviglia ci sono ciclabili divise dalla strada e che percorrono tutti i punti della città. Così ci si muove benissimo” conclude il presidente della Fiab.