Contributi volontari e Irap: cosa prevede la norma sulle banche inserita nella legge di Bilancio (e il ruolo di Meloni)
Lega: “C’è la tassa sugli extraprofitti? Assolutamente sì”. Forza Italia: “Non ci sono tasse sugli extraprofitti, siamo soddisfatti”. Almeno di fronte ai microfoni, gli alleati della maggioranza di governo ostentano sicurezza sul risultato raggiunto. Ma le parole sono diametralmente opposte, a indicare che la verità sul decisivo contributo degli istituti di credito alla manovra non sta evidentemente né da una parte né dall’altra. E che se c’è una vincitrice, nella partita tutta interna al centrodestra, va cercata a Palazzo Chigi. Un passo indietro per capire le difficoltà a reperire le coperture per una manovra che già, con i suoi 18,7 miliardi, è tra le più leggere del passato recente. Ma anche le tensioni tra Antonio Tajani e Matteo Salvini e la refrattarietà delle banche a rinunciare a una parte dei profitti messi insieme negli ultimi anni. Prima del vertice notturno di giovedì, infatti, sembrava difficile che la maggioranza riuscisse a trovare una quadra sulla legge di bilancio. E invece l’intesa è arrivata in extremis nella notte, raggiunta – hanno spiegato i retroscena – grazie a una telefonata della stessa Giorgia Meloni ai vertici dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana. Una volta ottenuto il via libera di massima dagli istituti di credito, seppur senza entusiasmo, in mattinata il consiglio dei ministri ha potuto approvare la manovra 2026, in cui il contributo degli istituti di credito pesa non poco: 4,4 miliardi per il solo 2026, 11 in totale nel triennio, come messo nero su bianco nel documento di bilancio inviato a Bruxelles. Le banche hanno di fatto ingoiato un compromesso che lascia al contributo “volontario” degli istituti – sulla cui effettiva emissione Meloni deve aver ottenuto evidenti rassicurazioni – la possibilità di distribuire gli extraprofitti accantonati nel 2023, ma contestualmente aumenta di due punti l’aliquota Irap, oggi fissata al 4,65% per banche, altri enti e società finanziarie e al 5,90% per le imprese di assicurazione.
Il contributo a carico delle banche, lo ha spiegato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella conferenza stampa post Cdm, prevede dunque un “mix di misure” di “carattere strutturale e congiunturale”. Quelle strutturali, che poi sono la parte fissa e garantita del contributo, sono appunto l’aumento di due punti sull’Irap – che si calcola in sostanza sul fatturato – più “un nuovo regime di deducibilità dei crediti dubbi che vengono spalmati su più esercizi e la limitazione del riporto fiscale delle perdite”. La parte congiunturale è quella potenzialmente più volatile, quella “volontaria”: “la possibilità – ha spiegato il titolare del Mef – di liberare le riserve poste a capitale con la legge del 2023″, quella con cui le banche due anni fa avevano schivato il primo tentativo di tassazione sugli extraprofitti.
Oggi, di fatto l’esecutivo torna a bussare alla stessa porta e offre una via d’uscita – la famigerata Exit tax – con lo sconto: sbloccate questi soldi e pagherete solo il 27,5% di tasse, non più il 40% come previsto nella formulazione originaria del 2023. Toccherà alle banche, dunque, decidere se svincolare la distribuzione degli accantonamenti che ammontano a 6,2 miliardi. Se sbloccate, genererebbero oggi 1,7-1,8 miliardi di tassazione diretta (considerando l’aliquota al 27,5%) e altri 1,15 miliardi di tassazione dei dividendi degli azionisti.
Giorgetti, pur facendo intendere che tra i manager degli istituti la decisione è stata incassata “a malincuore”, ha rivendicato che le banche dovranno fare le loro considerazioni “in base ai risultati di quest’anno”. Risultati che sono molto buoni, dice il Tesoro: “Le banche faranno le loro valutazioni in base ai risultati di quest’anno che però mi sembra vadano bene. Il rischio che queste risorse non arrivino c’è sempre” ha aggiunto Giorgetti invitando però a guardare “le politiche dei dividendi che le banche hanno promesso ai loro azionisti. Decideranno se liberare questo capitale o meno e noi offriamo di farlo con aliquote interessanti”.
Chiarita la sostanza resta da vedere se attorno al nodo banche si placheranno le discussioni interne. Da un lato il leader del Carroccio Salvini ha ripetuto a oltranza lo slogan “chi ha di più deve dare di più”, sottolineando il fatto che “le banche quest’anno chiuderanno con profitti per oltre 50 miliardi di euro”. Dall’altro i forzisti di Tajani – su cui pesa evidentemente la quota del 30% della famiglia Berlusconi in Mediolanum – hanno serrato i ranghi contro una tassa “da Unione Sovietica“. Poi è arrivata la telefonata di Meloni.