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Salario minimo senza cifra: peccato che la politica si misuri sulle buste paga e non sui comunicati

Il Senato ha approvato la legge delega sul salario minimo che non fissa una cifra oraria ma delega al governo l'individuazione dei 'trattamenti minimi'
Salario minimo senza cifra: peccato che la politica si misuri sulle buste paga e non sui comunicati
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di Giuseppe Pignataro*

Il Senato ha scelto di procedere con una delega: niente soglia oraria in legge, ma principi e vincoli per i decreti che dovranno fissare i ‘trattamenti minimi’ agganciati ai contratti maggiormente applicati. In sei mesi si gioca la differenza tra tecnica e giustizia.

Il salario è la grammatica del lavoro: decide chi può dire che cosa nel mercato. La delega S.957 è ora legge: con 78 sì e 52 no il Senato ha dato il via libera definitivo. Ma quella approvata non è una cifra; è un metodo. L’articolo 1 incarica l’esecutivo di adottare ‘uno o più decreti legislativi’ per garantire retribuzioni proporzionate e sufficienti (art. 36 Cost.), contrastare il lavoro sottopagato e razionalizzare la giungla contrattuale.

Il cuore è una definizione operativa: individuare, per ciascuna categoria, i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (Ccnl) ‘maggiormente applicati’ (per numero di imprese e dipendenti) e fare del trattamento economico complessivo minimo di quei contratti la condizione economica minima per tutti i lavoratori della categoria.

La delega non si ferma qui: negli appalti obbliga appaltatori e subappaltatori a riconoscere minimi non inferiori a quelli del Ccnl maggiormente applicato nel settore, ed estende i trattamenti minimi ai lavoratori non coperti da contrattazione, applicando il contratto ‘più affine’. È un tentativo di chiudere il rubinetto ai contratti pirata e al dumping. Ma, come insegna Rawls, le regole sono giuste quando reggono alla prova del velo d’ignoranza: qui la prova si chiama attuazione.

Cosa non c’è? Nessun ‘9 € l’ora’ scolpito in legge: la scelta del numero viene spostata nei decreti e, di fatto, nei contratti leader del settore. È una scommessa sulla rappresentatività – tema antico del diritto del lavoro italiano, dalla mai attuata registrazione ex art. 39 Cost. – e sull’efficienza dei controlli. Nel frattempo, l’Europa offre un binario: la Direttiva Ue 2022/2041 chiede criteri di adeguatezza oggettivi (mediane settoriali, potere d’acquisto, produttività) e copertura ampia della contrattazione. Un’Italia senza minimo legale può stare in regola solo se costruisce trasparenza e copertura.

Il contesto non ammette ritardi: circa un lavoratore su dieci è working poor secondo Eurostat. La delega promette di ‘contrastare il sottopagato’, ma la bussola sarà il dato misurabile: definire un archivio pubblico dei Ccnl ‘maggiormente applicati’ con criteri di rappresentatività, algoritmi di adeguatezza dei minimi (ad esempio ancoraggi a percentili retributivi e costo della vita territoriale) e un meccanismo d’aggiornamento prevedibile. Senza sanzioni effettive – negli appalti e nelle filiere – il nuovo perimetro resta carta.

Qui l’economia incontra la filosofia politica. Arendt ci ricorda che lo spazio pubblico nasce quando appariamo gli uni agli altri: un salario ‘equo’ è visibile quando comparabile; Sen ci invita a guardare alle capabilities: non solo ‘quanto prendi’, ma che cosa puoi fare con ciò che prendi, dove vivi e quanto costa la vita. Tradotto: un minimo senza trasparenza e controlli è un’ombra, un principio che non diventa azione.

Tre nodi che i decreti devono sciogliere subito:
1. definire i Ccnl leader con dati (imprese e addetti firmatari, copertura reale, vigilanza Inl);
2. costruire indicatori di adeguatezza replicabili (mediana contrattuale, produttività, inflazione, differenziali territoriali di prezzo);
3. rendere automatismi e sanzioni parte integrante delle gare e dei subappalti (responsabilità solidale, interdittive a chi viola). Questo sarebbe il modo più corretto di intendere il minimo salariale: senza slogan, ma con regole che funzionano.

La legge può diventare una promessa. Purtroppo però se i decreti dovessero rimanere formule vaghe, la promessa si dissolverà nel lessico. Come sempre, la politica si misura non sui comunicati, ma sulle buste paga.

*Professore Associato di Politica Economica – Università di Bologna

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