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La faida tra i capi ultras interisti: sette “scene” che portano all’omicidio Boiocchi nel racconto di Marco Ferdico

Colui che preparò il piano per conto di Andrea Beretta ricostruisce in modo minuzioso al pm Storari le fasi dell'agguato avvenuto il 22 ottobre 2022 e rivendica: "Chi ha portato la Curva Nord a fatturare i soldi sono stato io"
La faida tra i capi ultras interisti: sette “scene” che portano all’omicidio Boiocchi nel racconto di Marco Ferdico
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Frame numero uno. Tre uomini su un taxi. Sono seduti dietro. Due sono vestiti da “guerra”, indossano abiti neri. Il terzo porta i jeans e la felpa della Curva Nord dell’Inter. I primi sono Daniel D’Alessandro detto Bellebuono e Pietro Simoncini. Il terzo è Marco Ferdico. È il 29 ottobre 2022. Il piano lo hanno preparato, hanno armi e mezzi. Devono uccidere Vittorio Boiocchi, detto lo zio, capo della curva nerazzurra, perché così ha chiesto Andrea Beretta, detto il Berro, che ha pure pagato 50mila euro. Hanno fatto i sopralluoghi, studiato i suoi movimenti. Frame due: il taxi da Carugate è arrivato a Milano davanti ai palazzoni di cemento di via Mecenate. La casa è nel semibuio.

L’appartamento è della nonna di Ferdico. Lo scooter Gilera verniciato di blu sta nel garage di sotto. È mattina e nonostante le previsioni danno bel tempo, una nebbia umida inizia ad avvolgere la città. Ferdico esce, e i due killer ora sono soli, sul tavolo la Beretta calibro 9. Frame numero 3: primo pomeriggio fuori dal Baretto sotto la curva Nord. Stadio Meazza. Gli ultras nerazzurri arrivano alla spicciolata. Questa sera è in cartellone Inter-Sampdoria di campionato. Ferdico è già lì da mezz’ora. Si guarda intorno, poi vede Boiocchi. Apre il cellulare criptato e invia “ok”. Per Bellebuono e Simoncini è il segnale. Sanno che lo Zio non può andare allo stadio e tornerà a casa prima del fischio d’inizio. I due vestiti da “guerra” scendono in garage indossano caschi integrali e partono.

Frame numero 4: via Silla, quartiere Figino, non lontano da casa Boiocchi. I killer imboccano una strada sterrata e si fermano sotto a un albero. La nebbia si è trasformata in una pioggerellina leggera. Dietro hanno le luci intermittenti del grande Termovalorizzatore. Fino a qua ha guidato Bellebuono, ma ha guidato male, la cocaina lo rende esuberante, mentre mette il cavalletto il Gilera casca. Provano ad accenderlo ma non riparte. La candela si è bagnata. Simoncini vorrebbe rinunciare. Poi vrum, il motore si accende. Bellebuono decide che sarà lui a fare fuoco, le armi però non sono il suo forte. Così l’amico gli scarrella la Beretta semiautomatica. Sono pronti. Nel frattempo a qualche chilometro verso Trezzano sul Naviglio, accanto a una cascina e al ristorante Panta Rei, un furgone bianco attende lungo una strada di campagna. Alla guida c’è un bulgaro. È la via dei fuga. Nei laghetti lì accanto butteranno l’arma.

Frame numero 5: le 19,30 fuori dal Meazza. Boiocchi sale dietro a uno scooter. Ferdico invia un secondo segnale: “Ok!!”, i punti esclamativi significano che lo zio arriverà da lì a poco in motorino. Frame numero 6: Bellebuono e Simoncini hanno guidato lungo una strada sterrata che costeggia i campi e in pochi minuti sono arrivati in via Anghileri. All’angolo c’è via Fratelli Zanzottera dove abita Boiocchi che dopo aver percorso via Novara è davanti al portone di casa. Bellebuono scende dallo scooter, cammina pistola in pugno. Ha messo più vestiti per sembrare più grasso. Arriva e spara. Lo Zio è di spalle. Altri quattro colpi. Sono quasi le 20:30. Frame numero 7: al Meazza la partita è appena iniziata. Ferdico col padre Gianfranco non è in curva ma al primo anello rosso. È visibilmente teso. Poi il microfono dal secondo anello verde urla: “Oh, levate le bandiere, levate gli stendardi, è successa una cosa gravissima!”. Quindi capisce. Guarda il cellulare. La notizia è già online. Boiocchi ferito, non morto, il capo ultras è in coma. Un brivido lungo la schiena. Pensa: se questo non muore qui si scatena la guerra. Poi il difensore interista Stefan de Vrij segna di testa. È il 20° del primo tempo. La Curva Nord si sta svuotando rapidamente. Ferdico riguarda il telefono: Vittorio Boiocchi è morto.

Sette scene come in un film. Sette momenti che conducono all’omicidio di Vittorio Boiocchi e poi alla scalata al potere della ‘ndrangheta e del triumvirato Beretta, Ferdico e Antonio Bellocco. Protagonista della sceneggiatura Marco Ferdico che nel suo verbale integrale del primo maggio scorso riannoda tutto, il prima, il durante e il dopo. Sta in carcere Ferdico, risponde alle domande della Procura ma non sta certamente collaborando. Il prossimo 10 dicembre inizierà il processo. E l’ergastolo pesa su di lui come un macigno insopportabile. E se l’azione, quasi da fiction in stile Suburra, è in questi sette passaggi, la preparazione si rivelerà non poco convulsa, perché nei mesi precedenti il capo ultras, oggi pentito, Andrea Beretta è un uomo morto che cammina. Lo zio Boiocchi lo vuole fare fuori perché, dice, il Berro si ruba i soldi della cassa e del merchandising. E nell’ambiente lo sanno in molti.

Marco Ferdico inizia il verbale davanti al pm Paolo Storari: “La sera prima della commemorazione di Fabrizio Piscitelli (il Diabolik capo degli ultras laziali ucciso il 7 agosto 2019) mi chiama Maurino Nepi e mi dice. ‘Marco, Marco, vieni con tuo papà al Tenconi (bar di fronte al Meazza) perché Andrea ha bisogno. Andrea ha litigato con Vittorio, stiamo andando tutti’”. Il mare è in tempesta già a luglio del 2022. Poi il gruppo parte per Roma per commemorare Diabolik: “Beretta è armato. Gli dico: ‘Ma che cazzo fai con un ferro a Roma?’. Mi dice: ‘Lascia stare, ieri sera sono andato al Tenconi, Vittorio ha dato il ferro da tenere alla Debora. Io vivo sotto assedio, tu non sai cosa sta succedendo, m’ha chiesto i conti del negozio”. Si arriva a settembre: “Io frequento il Chiringuito di Carugate. Incontro Beretta, mi arriva con una moto, un chopper, come va, come non va. Dice. ‘Dai, beviamoci un caffè. M’hanno richiesto i conti’. È ancora armato, c’ha una pistola nera, una Beretta 9×21. Gli dico ‘Cazzo Andre, se hai bisogno io ci sono’. Lui era veramente preoccupato: ‘C’è questo serbo che ha già scontato un omicidio, magari fa arrivare gente dalla Serbia, mi vogliono tirare’”.

Lo stesso giorno di settembre Ferdico parla con l’amico Mauro Nepi: “Gli dico: ‘Oh, ma qua la situazione è pesante’, questo era bianco, girava con l’ascellare”. Al che Nepi: “C’è questa diatriba tra loro due me l’ha detto anche a me”. Per inciso secondo la Procura di Milano sarà Nepi a far arrivare i 50mila euro per l’omicidio a Ferdico, il quale spiega il motivo di tanta paura da parte di Beretta: “Quando Vittorio Boiocchi si prende la Curva Nord, si presenta in riunione armato, davanti a Walter, Corrado, Maurino e un cifro di gente che c’era lì, e dice: ‘Sono mesi che vi studio, da quando sono uscito, non valete un cazzo, la Curva è mia, o vi fate fuori dalle palle, o vi do le botte’, con la pistola”.

A metà settembre, si tiene l’incontro decisivo. Nepi chiama Ferdico e fissa un appuntamento con Beretta. Si vedranno loro tre: “Arrivo al Chiringuito. Li trovo tutti e due, lasciamo i telefoni al bar, andiamo a parlare nei campi da tennis e Beretta mi dice: ‘Io non ce la faccio più, ho sbagliato tutto, mi sono affiancato a una persona che non conoscevo, voglio che voi due mi stiate a fianco nella presa della Curva Nord perché io sono sotto assedio, rischio la vita, magari mi fa un attentato con Bojan ai miei bambini, voglio eliminare Vittorio Baiocchi’, chiaro e tondo”. Ferdico chiede: “Cioè, hai deciso di cliccarlo?”. Beretta: “Sì, io ho deciso di togliermi questo pensiero perché o lui o me, è una questione di vita o di morte. Adesso gli ho consegnato i conti”. Ferdico si mostra dalla sua parte e anche di più: “Se tu fai ‘sto passo io potrei essere al tuo fianco”. L’idea di ammazzare Boiocchi inizia così.

Ma Beretta ha fretta, teme per la sua vita, Boiocchi vuole farlo fuori il prima possibile. E il giorno dopo con una Fiat 500 porta Ferdico sotto la casa dello Zio in via Zanzottera: “Guarda, abita qui, si può arrivare da qui, lo prendiamo la mattina quando va a firmare”. Ferdico prosegue: “Ero affascinato dal fatto di prendermi la Curva, Beretta aveva carisma. Non era un grande oratore, però lo seguivano in molti per la sua audacia. Anche se la gestione che ha fatto lui con Baiocchi era una gestione ridicola, chi ha portato la Curva Nord a fatturare i soldi sono stato io, con le svariate idee dei calendari, le foto, aggregare gli Inter Club, non fare più un luogo di nicchia, ma far diventare tutti gli interisti affascinati dalla Curva Nord”.

Ferdico quindi inizia a pensare al piano: “Bisogna prendere delle macchine rubate per fare dei sopralluoghi, nessun taxi di amici, dobbiamo trovare una strada di campagna d’arrivo, che non sia riconducibile a un itinerario con le telecamere e una strada di campagna per andare via”. E poi bisogna trovare i killer: “Mio suocero (Pietro Simoncini, ndr) mi diceva che aveva bisogno di soldi, era disposto a fare di tutto, quindi gli dico se vuole fare questa cosa. D’Alessandro aveva un debito con me di 7.000 euro. Gli ho detto: ‘Lo vuoi fare tu? Fallo tu’, e lui ha accettato”. Nel frattempo Beretta fa arrivare i 50 mila euro. Siamo agli inizi di ottobre, manca meno di un mese. Il Berro ha fretta: “Prendiamo una moto, andiamo, gli spariamo e torniamo”. Ferdico ragiona: “Secondo me lui aveva cosi paura di essere scoperchiato che dai conti del negozio gli fotteva i soldi e dalla reazione di questo qua, che secondo me in quel momento lui lo voleva fare a ogni costo. Gli dico: ‘Ma tu sei fuori! Siamo nel 2025, come fai a fare una roba del genere?’.

Il piano sembra naufragare il 14 ottobre, cioé due settimane prima, quando Ferdico subisce una perquisizione per una rapina fatta a Cremona. Il 26 ottobre però Beretta è impazzito: “ “’Bojan, i conti, adesso veramente, adesso basta, vi ho pagato’, io l’ho visto veramente spaventato ‘Questo mi tira, mi tira, coi serbi, mi tira, mi tira, lo dobbiamo fare, lo dobbiamo fare’”. Ferdico spiega che però non hanno né moto né arma. “Adesso – dice Beretta – ti faccio vedere che ti trovo tutto io”. Lo stesso giorno gli porta il Gilera davanti al ristorante Officina di Cernusco sul Naviglio. E al pomeriggio consegna la Luger 9×19. Con Bellebuono andrà poi a prendere il furgone per la fuga guidato poi dal bulgaro. “Con la moto abbiamo fatto i sopralluoghi in via Silla. Arrivate da via Silla in moto, lo aspettate sotto casa, poi fate quello che dovete fare, dobbiamo vedere come andar via di qua”. Si sceglierà la cascina verso Trezzano: “Da via Novara, entriamo nella tangenziale, la prima uscita è una zona industriale e si arriva a questo ristorante famoso, Panta Rei, e vedo una strada di campagna. Ci entro con la moto e vedo che si esce alla Cascina Gaggia. Vedo il laghetto e dico perfetto, il furgone v’aspetta qui, entrate in campagna, salite sul furgone, il furgone vi porta via, mentre vi porta via buttate la pistola nel lago, e se Dio la manda buona forse la scampate”.

E i due killer? “Bellebuono si straballa i soldi, mio suocero fa avanti e indietro con il Frecciarossa, cene, ristoranti, qualche divertimento extra coniugale. E però c’è sta cazzo di moto da fare a pezzi, gli stacco la targa e la rivernicio di bianco. Vado a Milano, butto targa nei tombini e i telefonini criptati nei tombini in zona via Padova. E insomma, la moto è stata fatta a pezzi, non c’è più. L’arma è nel laghetto. I telefoni criptati nei tombini. E questo è l’omicidio di Vittorio Baiocchi”. Detto, chiuso, firmato.

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