Da molti decenni importiamo la cultura Usa: davvero ora vogliamo diventare americani?
di Alessandro D’Ambrosio
Fin dal suo sbarco sulle coste europee, al termine della Seconda guerra mondiale, la flotta imperiale americana ha tessuto la sua rete di influenza sul nostro continente. E’ un’ovvia considerazione, per l’osservatore medio, il riconoscimento della doppia faccia della Nato, da alleanza militare intergovernativa a strumento di controllo Usa su buona parte dell’Europa; come è ben noto, fatta eccezione di Francia e Regno Unito, le armi tattiche nucleari americane sono presenti in Italia, Belgio, Germania, Paesi Bassi e Turchia.
E’ altresì lecito dispensare dubbi sui veri mandanti dell’attentato con cui è stato distrutto il gasdotto Nord Stream 2, opera strategica per il consolidamento delle relazioni economiche tra Russia e Germania (e di conseguenza tra Russia ed Europa). Joe Biden, il 7 febbraio 2022, 17 giorni prima dell’invasione russa in Ucraina, dichiarò alla stampa: “Se la Russia invade l’Ucraina non ci sarà più nessun Nord Stream 2”. Insomma, una dichiarazione di intenti (?).
Attualità a parte, gli esempi nel mondo non si contano, per dimostrare la brutale violenza perpetrata dagli Stati Uniti nel corso di questi decenni, per imporsi come “Impero del Bene” contro chiunque osasse sfuggire alla sudditanza e ai suoi diktat.
Dobbiamo stare attenti, per mantenere la nostra minima integrità, a non sottovalutare un altro tipo di sfera di influenza americana, un’influenza celata, spesso nemmeno visibile agli occhi dei più: la sfera culturale. Dagli Usa abbiamo importato tutti i simboli della loro cultura: i centri commerciali, la fast fashion, il junk food con i vari McDonald’s, Burger King, Kentucky Fried Chicken. Il cinema americano, talmente irradicato da essere ormai parte della nostra cultura, in egual modo la musica americana, entrata nel nostro mercato già negli anni 70-80 e poi ancora la rivoluzione informatica, i personal computer, i social network, ecc… Tutti questi simboli culturali americani hanno invaso l’Europa con violenza e aggressività, tipici emblemi dell’invasore col coltello tra i denti.
Dunque, nella speranza di un piccolo bagliore di lucidità, dobbiamo chiederci: è veramente nostra intenzione diventare americani? Un esempio recente degli ultimi anni? Banche, assicurazioni (e non ultime le Poste Italiane) si sono attrezzati per proporsi con prodotti assicurativi nel settore sanitario, trasformando il nostro Stato, fondato sulla tutela e la cura del cittadino, nella colonia americana definitiva, dove le cure sono garantite solo se hai i soldi.
Vogliamo davvero diventare questo? Vogliamo veramente abbandonare il welfare, lo Stato sociale, i principi di eguaglianza di fronte alla giustizia, le tutele sul lavoro, la libertà di espressione (dati i recenti trascorsi del governo Trump) e tutto ciò che ancora e nonostante tutto giace nelle pagine della nostra costituzione e lì riposa in pace? Siamo davvero diventati una colonia americana composta da una società individualista, che accetta acriticamente il turbocapitalismo e getta in pasto ai social network la propria rabbia esistenziale?
Non possiamo rinnegare la storia. Non possiamo dimenticare che il nostro continente è stata la culla della democrazia, dall’antica Grecia alla rivoluzione francese, non possiamo dimenticare secoli di sangue versato dagli europei, per permettere la nostra libertà, compresa la mia in questo momento, di scrivere queste parole ed esprimere liberamente questi concetti.
La mobilitazione del 22 settembre per Gaza, la Global Sumud Flotilla, sono esempi concreti che ci dimostrano che la società civile può davvero fare la differenza, senza la minima necessità dei partiti politici, intrisi di corporativismo, ormai schiavi dell’economia e della finanza. Tutti i cittadini europei oggi sono chiamati a non rinnegare la storia e a proteggere i valori della democrazia, della giustizia e della libertà, risvegliamo le nostre coscienze e andiamo oltre ai colori politici, perché la posta in gioco allo stato di fatto è davvero troppo alta.